ATTRAVERSO LO SCHERMO. DALLE PRIME IMMERSIONI VIRTUALI AL METAVERSO
Quanti, come me, hanno vissuto il neolitico dei videogames, si ricorderanno di The prince of Persia, una storia d’amore, avventura, magia e rinascita, un vero e proprio classico senza tempo, come nella più pura tradizione del “viaggio dell’eroe”. Ricordo di aver affrontato mille peripezie accanto al principino persiano, dotato di fisico infaticabile, che, per salvare la sua bella, correva per stanze e lunghissimi corridoi di un palazzo infinito, combattendo i nemici con la spada, evitando insidiose tagliole, superando burroni, cercando passaggi segreti e pozioni incantate.
Tuttavia, il gioco al computer che, per me, rappresentò un vero e proprio “salto di livello”, fu Wolfenstein 3D. Il protagonista era un soldato americano, prigioniero in un castello nazista. L’obiettivo del gioco consisteva nella fuga, solo con un coltello e, in seguito, con armi sempre più potenti, sottratte alle guardie. Il percorso narrativo culminava, con l’episodio finale Die, Fuhrer, Die!, in cui ci si scontrava – nientemeno – con Hitler stesso, il quale, protetto da una sorta di super-scafandro e armato fino ai denti, scaricava sul povero protagonista una gragnuola di proiettili.
Questo antesignano degli sparatutto, che univa elementi di fantascienza con una trama ucronica avvincente – ed era abbastanza “splatter” rispetto ai giochi cui ero abituato –, era sorprendente perché mi consentiva di giocare “in prima persona”. Anzi, mentre giocavo, si attivavano alcune reazioni automatiche, come cercare di evitare i proiettili o nascondermi dietro i muri. Non ero io che davo i comandi a un personaggio e quest’ultimo svolgeva i compiti. Io stesso vivevo l’azione. Stavo sperimentando la mia prima, embrionale, immersione nel virtuale. Mentre aprivo le porte, potevo percepire l’adrenalina, nel timore d’incontrare le guardie. Scappando, per trovare una via di fuga, rincorso dai nemici, ero consumato dall’ansia. La grafica – sebbene primitiva – e il movimento delle immagini riuscivano ad assottigliare la barriera tra questo e il “mondo altro” del castello, aprendo la porta a una nuova dimensione in cui era possibile, in qualche modo vivere (e morire).
Flavio Di Renzo, ECHO – Rumore, 2022. Courtesy l’artista
METAVERSO. ARCHITETTURE E DIMENSIONI DEL VIRTUALE
Oggi, quel gioco ha eredi caratterizzati da motion strabilianti e soluzioni tecnologiche evolute. I giochi sulle piattaforme creano ambienti da esplorare, praticamente infiniti, con trame capaci di longevità inimmaginabili.
In questo scenario, a un certo punto, nasce il cosiddetto metaverso, ovvero un intero mondo virtuale, che rappresenta una via possibile di trasformazione del modo di interagire on line.
A differenza dei siti web tradizionali che propongono, per lo più, asset statici, il metaverso è costituito da ambienti tridimensionali, virtuali e interconnessi, in cui gli utenti, sotto forma di avatar, possono muoversi e interagire liberamente. Questi spazi sono sempre attivi e sono in evoluzione anche quando l’utente è offline. Ogni contesto è pensato per una particolare “comunità digitale”. Ogni ambiente ha le sue regole e le sue dinamiche, che indicano comportamenti da adottare e contenuti specifici di cui è possibile disporre. Il processo è lo stesso: fondere il reale con il virtuale, ossia far passare gli utenti dall’essere fruitori di contenuti a protagonisti e nuovi demiurghi di questi mondi paralleli.
Il metaverso si presenta come un insieme di opportunità. Qui i confini tra reale e virtuale si confondono a tal punto da divenire quasi trasparenti. Non si entra in un gioco, come facevo io con Wolfenstein, ma si può dimorare in uno spazio parallelo. Attraverso il nostro avatar, possiamo assistere a concerti insieme a migliaia di persone, seguire lezioni universitarie in aule simulate, o gestire un negozio dove il cliente prova oggetti digitali prima di acquistarli. Grandi aziende hanno già aperto uno spazio nel metaverso, in cui è possibile esplorare e interagire con prodotti in formato tridimensionale. Altri, come Decentraland, hanno realizzato un metaverso decentralizzato basato su blockchain, dove gli utenti possono partecipare attivamente persino alla “governance” della piattaforma attraverso una DAO (Decentralized Autonomous Organization). La piattaforma si distingue per quattro caratteristiche principali: la possibilità di creare contenuti personalizzati come oggetti virtuali ed esperienze interattive; l’organizzazione di eventi culturali che spaziano dalle mostre d’arte ai festival musicali; la presenza di spazi personali denominati Worlds dove gli utenti possono costruire e sperimentare liberamente; e un’economia virtuale basata su blockchain che include la compravendita di terreni digitali (LAND) e oggetti virtuali. Questo ecosistema esemplifica come il metaverso possa combinare creatività, socializzazione e opportunità economiche in un ambiente virtuale gestito dalla comunità.
Anche l’arte trova nuovi spazi nel metaverso. Gli artisti hanno iniziato a sperimentare questi territori inediti. In mondi che non sappiamo bene dove stiano, in cui la materia è fatta di codice e non di pigmento, stanno nascendo forme d’arte che interrogano la nostra conoscenza sui confini tra autore e spettatore.
Il fenomeno in sé non stupisce troppo. Perché, in ogni epoca, gli artisti hanno sempre utilizzato gli strumenti e le tecnologie disponibili per esprimere la propria creatività. Viviamo in un mondo digitale. Sempre più spesso sperimentiamo e scambiamo immagini nello spazio virtuale. Pertanto, l’arte utilizza queste tecnologie. Ciò che mi pare interessante, invece, è porre una domanda su ciò che l’arte “può essere” nel metaverso.
Ogni immagine digitale è una costruzione artificiale, generata – diciamo così, con una metafora culinaria che ci evita improbabili spiegazioni tecniche –, “impastando” luce, algoritmi e altre immagini. Non stiamo più rappresentando con le tecniche del disegno o della pittura tradizionale. Tuttavia, anche quando creiamo arte digitale, partiamo sempre da esperienze reali, da noi stessi, interpretando tutto ciò attraverso un nuovo medium. La vera sfida sta nel capire come questo strumento possa ampliare i confini della nostra immaginazione, abilitando nuove forme di espressione artistica che prima non erano possibili.
In questo processo espansivo, come evidenziato da William Hurst, docente dell’Università di Cambridge (et al.), il metaverso può essere definito come «un ecosistema interconnesso di “Metagalassie” virtuali»1 che offre «agli artisti una piattaforma per esporre, promuovere e commercializzare le proprie opere, superando i confini imposti dallo spazio fisico e dalla geografia». La ricerca evidenzia anche come il metaverso stia aprendo nuovi orizzonti per l’arte digitale, portando con sé sia opportunità che sfide notevoli. Un aspetto particolarmente rilevante emerge nella creazione di dataset: «Il metaverso genera dati comportamentali su larga scala che prima non erano esplorabili, consentendo una comprensione più profonda dell’interazione umana con l’arte digitale». Questa ricchezza d’informazioni permette di studiare non solo le preferenze estetiche, ma anche i pattern di fruizione artistica in ambienti virtuali. L’immersività rappresenta un altro punto di forza. Come sottolineano gli autori, «le tecnologie immersive del metaverso offrono livelli di interazione e coinvolgimento significativamente superiori rispetto ai media tradizionali», creando esperienze artistiche che trascendono i limiti fisici delle gallerie convenzionali. Sul piano della diffusione dell’arte, il metaverso è, in potenza, uno strumento rivoluzionario. La ricerca evidenzia come «la rimozione delle barriere geografiche e fisiche permetta una fruizione artistica globale senza precedenti», aprendo nuove opportunità, sia per artisti emergenti, che affermati, per raggiungere un pubblico anche molto differente da quello cui si riferiscono solitamente, spesso molto eterogeneo.
Flavio Di Renzo, ECHO – Altisonanza, 2022. Courtesy l’artista
Tuttavia, emergono anche problematiche che non possono essere ignorate. Gli autori identificano alcune criticità tecnologiche sostanziali: «I costi di implementazione della realtà virtuale e i limiti di scalabilità sono ostacoli concreti alla diffusione capillare di queste tecnologie». La questione della proprietà dei dati e della governance delle piattaforme risulta altrettanto cruciale, con la necessità di «bilanciare decentralizzazione e centralizzazione per garantire sia la sicurezza che l’accessibilità».
Un aspetto particolarmente delicato riguarda l’integrazione dell’intelligenza artificiale nell’arte digitale. Se da un lato l’AI può «amplificare le possibilità creative e facilitare la personalizzazione delle esperienze artistiche», dall’altro emerge il timore che possa «svalutare il valore percepito dell’arte creata dall’uomo». Alcuni ricercatori sottolineano l’importanza dell’educazione in questo contesto: «È basilare sviluppare una comprensione diffusa dei concetti di Metaverso, Metagalassia e NFT per favorire una partecipazione consapevole all’ecosistema dell’arte digitale». La ricerca, a cui ci riferiamo, suggerisce che il futuro dell’arte nel metaverso dipenderà dalla capacità di «creare esperienze personalizzate che mantengano l’autenticità artistica pur sfruttando le potenzialità delle nuove tecnologie».
Questa struttura, che va oltre la semplice virtualizzazione, integra tecnologie immersive come la realtà virtuale (VR) e la realtà aumentata (AR), creando quello che gli studiosi definiscono «un sistema che espande la realtà in un mondo virtuale basato sul digitale, in cui tutte le attività possono essere eseguite in uno spazio virtuale»2. Il metaverso si è rivelato particolarmente vantaggioso durante la pandemia, emergendo come “nuova forma” – o, più semplicemente, mezzo – di comunicazione. Come sottolinea Jungmi Lee, ricercatrice digitale, nella sua ricerca empirica sull’utilizzo del metaverso, questa soluzione tecnologica si è affermata «in un periodo caratterizzato dalla riduzione delle interazioni faccia a faccia e dall’aumento delle videoconferenze», dimostrando di essere più di un semplice spazio virtuale: è diventato un luogo dove realtà e virtualità coesistono, sostenute da tecnologie come il web 3D, la blockchain3 e i Non-Fungible Token (NFT)4.
Uno degli aspetti innovativi del metaverso risiede nella sua capacità di creare valore attraverso la “scarsità digitale”5. Come evidenziano gli studi di Guzden Varinlioğlu, docente di tecnologia architettonica digitale all’Università di Liverpool (et al.), gli NFT permettono agli artisti di «provare la proprietà e salvaguardare i loro diritti di proprietà intellettuale, aspetto di fondamentale importanza nel mondo dell’arte»6. Questa tecnologia consente agli artisti di vendere i loro progetti come asset digitali unici e irripetibili, fornendo una proprietà pubblicamente riconoscibile.
Le sperimentazioni in corso sono molteplici. Il progetto Digital Darağaç, ad esempio, utilizza la realtà aumentata per preservare e rendere accessibili opere d’arte effimere, creando un ponte tra il fisico e il virtuale, tra il temporaneo e il permanente.
Come osserva Diego Bernaschina, designer e ricercatore indipendente, questi approcci non solo conservano il patrimonio culturale immateriale, ma aprono nuove possibilità di fruizione e interazione7. Sul fronte educativo, il metaverso sta ridefinendo i confini dell’insegnamento artistico. La ricerca di Bernaschina propone un modello metodologico che integra l’uso del metaverso con l’insegnamento delle arti multimediali, l’obiettivo è quello di «creare un ambiente di apprendimento inclusivo e stimolante». Questo modello prevede l’utilizzo di diverse tecnologie interattive – dalla realtà virtuale (VR) alla realtà aumentata (AR), dalla realtà mista (MR) alla realtà estesa (XR) – per creare esperienze immersive e coinvolgenti.
Tornando ai dati raccolti da Lee, su un campione di 502 studenti universitari, notiamo che, nonostante una conoscenza di base del metaverso relativamente bassa, l’intenzione di utilizzarlo in futuro è alta, in particolare tra gli studenti della Generazione Z.8 Questo risultato è particolarmente sintomatico se si considera che il 55,6% degli studenti ha espresso interesse per l’apprendimento attraverso piattaforme del metaverso.9
Proprio questa predisposizione delle nuove generazioni verso ambienti virtualizzati solleva quesiti non banali sulla trasformazione dell’esperienza umana nell’era digitale. Ma prima di addentrarmi nel nucleo della questione, ritengo sia importante una breve considerazione sulle dimensioni fondanti dell’esperienza artistica: quel complesso reticolo di percezione, pensiero e corporeità che definisce il nostro vivere e fare arte.
MAPPE COGNITIVE NELL’ERA DIGITALE. PERCEZIONE, PENSIERO AUMENTATO O DIMINUITO
Mi trovo spesso a chiedermi come stia cambiando il nostro modo di percepire e pensare, così immersi in un ambiente sempre più digitalizzato. Non ho risposte decisive, qualche raro flash o intuizione, ma alcune questioni mi sembrano interessanti.
La digitalizzazione delle interazioni solleva interrogativi sulla trasformazione dell’esperienza sensoriale quando molte delle nostre interazioni avvengono attraverso schermi e interfacce. Si potrebbe ipotizzare l’emergere di uno “spazio percettivo alterato”, in cui vista e udito assumerebbero un ruolo predominante, mentre altre modalità sensoriali come tatto, olfatto e propriocezione potrebbero passare in secondo piano. L’immersione nel digitale potrebbe inoltre influire sui processi di pensiero: l’ipertestualità, la multimedialità e l’interattività suggeriscono modalità cognitive diverse da quelle lineari tipiche della cultura scritta.
Si potrebbe ipotizzare l’emergere di una forma di “pensiero aumentato”, in cui percezione e pensiero si intreccerebbero in modi ancora da esplorare. Le tecnologie digitali sembrerebbero funzionare come possibili estensioni cognitive. Quando utilizziamo ambienti virtuali, il nostro cervello potrebbe essere chiamato a sviluppare capacità di elaborazione simultanea. La navigazione negli spazi virtuali suggerisce la possibilità di gestire contemporaneamente diversi flussi informativi: seguire una conversazione mentre si esplora un ambiente digitale, interpretare segnali visivi complessi, elaborare informazioni provenienti da molteplici livelli di realtà. La memoria stessa potrebbe essere influenzata dall’accesso a vasti archivi digitali, mentre la visualizzazione e il ragionamento spaziale potrebbero arricchirsi attraverso la manipolazione di oggetti virtuali.
Se confermata dalla ricerca, questa trasformazione non sarebbe solo quantitativa ma qualitativa. Il cervello potrebbe sviluppare nuove connessioni neurali per adattarsi agli ambienti ibridi, manifestando una sorta di “plasticità” nel movimento tra reale e virtuale, tra presenza fisica e digitale.
Emergono tuttavia anche possibili criticità. Questa trasformazione porta con sé un “lato oscuro”, che mi verrebbe da definire “pensiero diminuito”. La sovrastimolazione sensoriale, la frammentazione dell’attenzione, la velocità dei flussi informativi possono rendere più difficile elaborare l’esperienza in modo profondo e significativo.
Come bilanciare le potenzialità del digitale preservando la dimensione corporea e relazionale dell’esperienza umana? Come integrare queste nuove modalità cognitive senza perdere capacità fondamentali di pensiero profondo e riflessione? La ricerca su questi temi è ancora agli inizi e molte domande restano aperte.
Flavio Di Renzo, Emikrania. Aura, 2023. Courtesy l’artista
CORPO RICORDATO. PRESENZA FISICA E AVATAR NEL MONDO VIRTUALE
Pensando alla trasformazione che il digitale sta operando nella nostra esperienza del corpo, alcune situazioni mi fanno interrogare sul rapporto sempre più sfumato tra fisico e virtuale. Per esempio, quando partecipo a una videoconferenza, mi accorgo di come la presenza corporea sia al tempo stesso potenziata e limitata. Da un lato, posso essere “presente” in più luoghi contemporaneamente, dall’altro la ricchezza delle interazioni fisiche viene inevitabilmente filtrata e ridotta.
Colpisce anche come sui social media e sulle piattaforme digitali costruiamo “versioni” di noi stessi, selezionando e curando la nostra immagine. Non è forse un modo nuovo di “ricreare” il nostro corpo, attraverso la mediazione della tecnologia?
A volte, mi chiedo se questa possibilità di modificare e moltiplicare la nostra presenza corporea stia cambiando il modo in cui percepiamo noi stessi. La facilità con cui possiamo assumere identità diverse online sembra suggerire una concezione più fluida e molteplice dell’io in cui possiamo esprimerci più liberamente, ma corriamo il rischio di un “nascondimento” oppure di una rinuncia alla responsabilità di un’identità precisa.
Allo stesso tempo, noto una tensione positiva. Mentre il digitale sembra liberarci dai vincoli della fisicità, paradossalmente può renderci più consapevoli del nostro essere corpo. Ci ricordiamo tutti come la pandemia ci abbia fatto riscoprire il valore della presenza fisica, proprio mentre eravamo costretti a call interminabili!
Quali potrebbero essere le implicazioni a lungo termine di questa “digitalizzazione” del corpo. Come influenzerà il nostro modo di relazionarci, di esprimerci, di sentirci?
Non ho risposte, ma credo sia importante mantenere uno sguardo attento e critico su queste trasformazioni che stanno ridisegnando i confini tra fisico e virtuale, tra presenza e assenza, tra identità e rappresentazione.
La mancanza di corpo fisico nel metaverso non implica l’assenza di una dimensione corporea dell’esperienza. I neuroni specchio, scoperti inizialmente nei primati e poi nell’uomo, ci permettono di “simulare” internamente le azioni che osserviamo, anche quando queste sono eseguite da un avatar in un ambiente virtuale. Questo meccanismo neurale è così sofisticato che il nostro cervello risponde in modo simile sia quando compiamo un’azione, sia quando la osserviamo negli altri.
Nel metaverso, questa capacità si traduce in esperienze sorprendentemente corporee. Quando il nostro avatar salta, corre o interagisce con oggetti virtuali, i neuroni specchio si attivano, creando una risposta fisica reale: il battito cardiaco può accelerare, i muscoli possono contrarsi leggermente, il sistema nervoso può reagire come se stessimo realmente compiendo quelle azioni. Questo fenomeno spiega perché molte persone provano sensazioni fisiche concrete mentre si muovono in ambienti virtuali.
La corporeità virtuale si manifesta anche attraverso risposte emotive e somatiche. Quando il nostro avatar si trova in situazioni di pericolo o di intimità, il corpo risponde con reazioni fisiche reali: sudorazione, alterazione del ritmo cardiaco, tensione muscolare. Queste risposte non sono mere illusioni, ma manifestazioni concrete della nostra capacità di “incarnare” esperienze virtuali.
Inoltre, il sistema propriocettivo – quello che ci permette di percepire la posizione del nostro corpo nello spazio – si adatta gradualmente all’esperienza virtuale. Con il tempo, gli utenti sviluppano una sorta di “propriocezione digitale”, sentendo il proprio avatar come un’estensione naturale del corpo. Questo fenomeno dimostra la straordinaria plasticità del nostro sistema nervoso nel creare nuove mappe corporee che includono elementi virtuali.
Questa fusione tra fisico e virtuale ha importanti ricadute in diversi ambiti. Gli artisti possono creare opere che stimolano non solo vista e udito, ma l’intero sistema sensoriale dello spettatore. Gli educatori possono progettare esperienze di apprendimento più coinvolgenti, basate sull’integrazione tra mente e corpo. I medici, i terapeuti, gli psicologi possono utilizzare questi meccanismi per trattare disturbi fisici e psicologici attraverso la realtà virtuale.
La corporeità nel metaverso potrebbe suggerire una relazione complessa tra reale e virtuale, che forse non è così netta come potremmo essere portati a credere. Alcuni studi10 suggeriscono che il nostro cervello e il nostro corpo potrebbero non operare una separazione rigida tra esperienze fisiche e virtuali, ma potrebbero integrarle in quello che si potrebbe definire un continuum esperienziale. Se questa ipotesi trovasse ulteriori conferme, saremmo invitati a ripensare cosa intendiamo per presenza corporea nell’era digitale, aprendo nuovi interrogativi sul rapporto tra corporeità fisica e virtuale. Tale prospettiva, ancora da verificare pienamente attraverso la ricerca empirica, potrebbe offrire spunti interessanti per comprendere come la dimensione corporea si manifesti e si trasformi negli ambienti digitali.
CRONOLOGIE ELASTICHE. IL TEMPO NELL’ERA COMPUTAZIONALE
Nel metaverso, il tempo trascende la nostra esperienza quotidiana. Mi ricorda lo Shrike dei romanzi di Dan Simmons, una creatura capace di manipolare il tempo come materia plasmabile. Questo personaggio mi ha sempre affascinato, poiché incarna il desiderio di superare i limiti temporali, di invertire ciò che percepisco come un viaggio a senso unico. Forse proprio per questa ragione, provo al contempo attrazione e timore nei confronti del metaverso.
Nel mondo virtuale, il tempo è una materia malleabile. Gli artisti digitali creano opere che esistono in una dimensione temporale fluida, dove passato e futuro si intrecciano in cicli continui di creazione e trasformazione. Queste opere non hanno mai una forma definitiva, ma si trovano in uno stato di perpetuo divenire. Le animazioni procedurali generano pattern in costante evoluzione, ritmi che richiamano i cicli naturali delle maree o l’alternarsi delle stagioni, pur mantenendo una natura artificiale.
Il live coding11 rappresenta forse l’espressione più emblematica di questa nuova temporalità. Nelle performance di live coding, l’artista scrive il codice in tempo reale, creando musica e contenuti audiovisivi che emergono dall’interazione diretta tra il momento della programmazione e quello dell’esecuzione. Il processo creativo diventa parte integrante dell’opera, rendendo visibile la dimensione temporale della creazione digitale. In altri contesti artistici, la dimensione computazionale rimane spesso nascosta, così come è solitamente celata la tecnica cinematografica che sta dietro la “magia” del film.
La manipolazione del tempo nel digitale genera un interessante paradosso. Da un lato, la tecnologia ci consente di controllare e modellare il tempo con precisione crescente. Dall’altro, c’è la tendenza a ricercare ritmi più naturali e organici. Molte opere digitali incorporano movimenti ciclici e pattern ripetitivi che richiamano i ritmi biologici e naturali, come se cercassero di conciliare la precisione matematica del digitale con la fluidità organica della vita.
Nel metaverso, varie temporalità – lineari, cicliche, computazionali – coesistono e si sovrappongono. Un’opera d’arte può esistere contemporaneamente in diversi flussi temporali: quello dell’interazione dell’utente, quello dell’evoluzione algoritmica, quello della conservazione digitale. Questa stratificazione temporale dona agli artisti nuove possibilità espressive, consentendo loro di modellare la percezione del tempo in modi prima impossibili.
La dimensione temporale del virtuale potrebbe sollevare interrogativi sulla natura della permanenza e dell’effimero nell’arte digitale. Come potremmo concepire la durata di un “opera in perenne trasformazione? Quale significato potrebbe assumere il concetto di conservazione quando l’opera stessa sembra progettata per evolvere e mutare nel tempo?
Si potrebbe ipotizzare che questa diversa “temporalità digitale”, più che sostituire, possa arricchire la nostra esperienza del tempo, forse suggerendo nuove dimensioni nel modo in cui percepiamo e fruiamo l’arte. Nel metaverso, il tempo sembrerebbe assumere le caratteristiche di una dimensione espressiva con una sua autonomia, quasi una materia che gli artisti potrebbero modellare. Le esperienze così create potrebbero invitarci a riconsiderare la nostra comprensione tradizionale della temporalità, aprendo interrogativi su come il digitale possa influenzare la nostra percezione del tempo nell’arte.
Questa esplorazione della temporalità nel virtuale potrebbe forse offrire una chiave interpretativa per comprendere altri paradossi temporali, tipici dell’epoca attuale: dalla percezione accelerata del tempo nella società digitale, alla coesistenza di ritmi biologici e computazionali, fino al complesso rapporto tra memoria individuale e archivi digitali.
L’ARTE OLTRE LA TELA. CREATIVITÀ E NFT NEL METAVERSO
L’arte digitale si propone di ridisegnare i confini tra creazione e fruizione? Nel metaverso, gli artisti sondano nuovi territori creativi, dove le opere trascendono i limiti tradizionali del medium artistico. Non si tratta solo di creare oggetti o immagini digitali, ma di sperimentare esperienze immersive che potrebbero modificare il rapporto tra arte, artista e pubblico.
La tecnologia blockchain e gli NFT potrebbero aver introdotto una dimensione sconosciuta. Per la prima volta, sembrerebbe possibile creare opere digitali certificate come uniche, suggerendo nuove riflessioni sulla questione della riproducibilità dell’arte digitale. Questo potrebbe aprire possibilità economiche prima impensabili e nuove prospettive sui concetti di originalità e autenticità.
Nel metaverso, l’opera d’arte sembrerebbe assumere caratteristiche di un organismo mutevole. Più che un artefatto statico da contemplare, potrebbe presentarsi come uno spazio dove il confine tra creatore e fruitore è sempre più tenue. Le installazioni virtuali potrebbero reagire alla presenza dei visitatori, modificarsi nel tempo, conservare tracce delle interazioni. Ogni visita potrebbe diventare un atto di co-creazione, dove il pubblico parteciperebbe all’evoluzione dell’opera.
Questa trasformazione suggerirebbe un possibile ampliamento. Il valore artistico potrebbe non risiedere più esclusivamente nell’oggetto finale, ma estendersi al processo creativo, all’esperienza condivisa, alle relazioni generate – dimensioni non nuove, ma che in questo contesto assumerebbero una forma e una estensione differente rispetto al passato -. Gli artisti potrebbero diventare architetti di esperienze, creatori di ambienti virtuali dove il pubblico visita e si mette in relazione.
Le implicazioni di questi cambiamenti rimangono da approfondire. L’arte nel metaverso potrebbe non solo superare alcuni limiti fisici dello spazio espositivo tradizionale, ma suggerire, forse, nuovi ragionamenti sui concetti di autorialità e valore artistico. Inoltre, resta da capire se e come la digitalizzazione dell’arte possa mantenere o trasformare il suo potere espressivo attraverso queste nuove possibilità creative.
Flavio Di Renzo, Emikrania – Processi di aggregazione, 2024. Courtesy l’artista
GEOMETRIE INASPETTATE. RIPENSARE LO SPAZIO NELL’ERA VIRTUALE
Lo spazio virtuale influenza la nostra percezione di distanza, dimensione e presenza. Siamo ben oltre lo schermo. Ci immergiamo in dimensioni che sfidano la nostra esperienza quotidiana dello spazio fisico, sollevando profonde domande sulla natura stessa della realtà.
Il concetto di “spazio virtuale”, nato all’inizio del XX secolo, ha subito una profonda evoluzione. Se inizialmente si riferiva a una semplice rappresentazione digitale, oggi descrive un ambiente interattivo e multidimensionale in cui le leggi della fisica tradizionale possono essere ridefinite o superate. Ciò è particolarmente evidente nel modo in cui creiamo e sperimentiamo l’arte digitale. Gli schermi – dai monitor alle cuffie per la realtà virtuale – non sono più semplici finestre su un mondo virtuale, ma portali che ci permettono di entrare in nuove dimensioni di esperienza.
Il tema della presenza è posto in questione. L’arte digitale, alimentata da tecnologie mobili e realtà aumentata, sta generando nuove forme di esperienza spaziale. Gli artisti possono ora creare ambienti che si espandono e contraggono in base all’interazione, spazi che rispondono al movimento, luoghi che si trasformano in tempo reale. Quando un utente esplora uno spazio virtuale attraverso il proprio avatar, emerge una forma inedita di presenza, né puramente fisica né completamente astratta.
La nuova spazialità sta influenzando il modo in cui concepiamo e creiamo arte. Ad esempio, nella musica lo spazio sonoro può essere modulato e personalizzato per ogni ascoltatore. Nel teatro virtuale, gli spettatori possono muoversi liberamente nella scena, scegliendo prospettive impossibili nel mondo fisico. Inoltre, le installazioni artistiche possono ora esistere simultaneamente in più luoghi, creando connessioni tra spazi fisici e virtuali.
La geolocalizzazione e la realtà aumentata hanno introdotto nuovi livelli di complessità, fondendo lo spazio fisico con elementi digitali. Un’opera d’arte può ora occupare uno spazio specifico, essere visibile solo in determinate condizioni, o trasformarsi in base al contesto circostante. Questa fusione tra reale e virtuale sta dando vita a una nuova geografia dell’esperienza artistica, in cui i confini tra spazio fisico e digitale diventano fluidi e permeabili.
È una rivisitazione del concetto di “spazialità”. Gli ambienti virtuali permettono forme di interazione e collaborazione prima impossibili, facendo fiorire comunità artistiche che superano i limiti geografici. La distanza fisica perde il suo significato tradizionale, sostituita da nuove metriche di connessione e presenza.
Tuttavia, questa “oscillazione” solleva anche questioni cruciali sull’autenticità dell’esperienza, sul rapporto tra corpo e spazio virtuale, sulla natura della presenza in un ambiente digitale. Come cambia la nostra percezione dello spazio quando possiamo attraversare ambienti che sfidano le leggi della fisica? Quale impatto ha questa nuova spazialità sulla nostra capacità di creare e percepire l’arte?
Dalle sperimentazioni di artisti e creatori che esplorano le possibilità dello spazio virtuale, emergono risposte a questi interrogativi, ma anche altri quesiti, altrettanto profondi, se non di più.
COMUNITÀ VIRTUALI. NUOVE FORME DI SOCIALITÀ ARTISTICA
Il metaverso sta influenzando anche il concetto di comunità artistica, superando l’idea tradizionale di gruppi artistici geograficamente definiti. In questi spazi digitali, emergono forme di collaborazione e scambio creativo che trascendono i confini fisici e culturali tradizionali, creando un ecosistema artistico globale e interconnesso.
L’evoluzione di queste comunità digitali ha seguito un percorso interessante. Inizialmente, le interazioni online nel campo dell’arte erano casuali e non strutturate, sorgendo spontaneamente da piattaforme dedicate ad altri scopi – forum di discussione, spazi di gioco, social media –. Con il tempo, questi incontri si sono trasformati in vere e proprie comunità creative, dove artisti professionisti e amatori collaborano, condividono conoscenze e sviluppano nuove forme espressive.
La natura di queste comunità digitali travalica le concezioni tradizionali di collaborazione artistica. Ci riferiamo a reti fluide in continua evoluzione, dove le collaborazioni nascono e si trasformano organicamente, in modo quasi-biologico. Gli artisti possono partecipare simultaneamente a varie comunità, contribuire a progetti collettivi o sviluppare opere che esistono solo grazie all’interazione di numerosi partecipanti.
Questa dimensione comunitaria solleva questioni interessanti sulla natura stessa della creatività collettiva nel digitale. Come si costruisce l’autenticità in uno spazio virtuale? Come si bilancia l’espressione individuale con la creazione collaborativa? Le comunità online stanno sviluppando proprie risposte a queste domande, creando modelli di interazione artistica che combinano autonomia individuale e cooperazione collettiva.
Le piattaforme digitali hanno anche ampliato le possibilità di accesso alla produzione e alla fruizione artistica, creando spazi più inclusivi dove diverse voci possono emergere e trovare il proprio pubblico. Questa apertura ha portato a una maggiore diversità di prospettive e approcci artistici, arricchendo il panorama creativo globale. Le barriere tradizionali all’ingresso nel mondo dell’arte – geografiche, economiche, sociali – vengono progressivamente superate dalla natura aperta e connettiva degli spazi digitali.
Tuttavia, questa trasformazione non è priva di potenziali problemi. La virtualità delle interazioni può talvolta creare una sensazione di disconnessione, superficialità o, paradossalmente, di isolamento e solitudine. Le comunità digitali immagino si trovino costantemente nella condizione di bilanciare l’accessibilità e l’apertura con la necessità di creare legami significativi e duraturi.
COREOGRAFIE DIGITALI. IL MOVIMENTO NELL’ARTE VIRTUALE
Nel metaverso, il movimento trasforma l’esperienza artistica. L’osservazione di un’opera d’arte da diverse angolazioni è stata affrontata in uno spazio virtuale in cui il movimento stesso diventa elemento creativo ed espressivo. Questa forma di interazione, come abbiamo accennato sopra, qualifica in modo differente il rapporto tra corpo, percezione e arte digitale.
Negli ambienti virtuali, il movimento non è più limitato dalle leggi della fisica: possiamo fluttuare, teletrasportarci, assumere forme ibride tra umano e non umano.
La navigazione degli spazi virtuali richiede una comprensione profonda, che va ben oltre il semplice uso di un’interfaccia. Si sviluppa un nuovo linguaggio del movimento, in cui gesti e interazioni seguono regole diverse da quelle del mondo fisico. Gli utenti devono imparare a muoversi in modo sincrono con la tecnologia, sviluppando una particolare sensibilità per le possibilità e i limiti degli ambienti virtuali. Questa “danza digitale” è mediata da strumenti – mouse, tastiere, controller, sensori di movimento, visori – che diventano estensioni del nostro corpo, generando un nuovo vocabolario di gesti e movimenti.
L’esperienza del movimento nel virtuale è altalenante tra due principali modalità: la navigazione intenzionale e l’esplorazione libera. Nella prima, ci muoviamo con uno scopo preciso, seguendo percorsi definiti o cercando specifici elementi dell’opera. Nella seconda, ci abbandoniamo a una sorta di flânerie digitale, in cui il vagare senza meta diventa parte integrante dell’esperienza artistica. Questa dualità mette in tensione struttura e libertà, direzione prestabilita e scoperta spontanea.
Anche il movimento, da mezzo per osservare l’opera, può diventare parte integrante dell’esperienza estetica. Il nostro “io virtuale” sviluppa una propria memoria corporea, una propria gestualità, un proprio “modo d’essere” nello spazio digitale. Tale “mobilità virtuale” incide sul modo in cui percepiamo, interpretiamo e interagiamo con l’arte digitale.
L’interazione tra movimento e percezione genera un ciclo di feedback continuo che arricchisce l’esperienza artistica. Ogni gesto che compiamo modifica la nostra percezione dell’ambiente, che a sua volta influenza i movimenti successivi. Questo circolo che si genera tra azione e percezione penso possa essere portatore di una specifica forma di conoscenza artistica.
GUARDANDO IN SU DAL FONDO DELLA TANA
L’arte nel metaverso mi sembra si muova in una zona indefinita tra liberazione e nuove forme di prigionia, dove forse non abbiamo ancora gli strumenti critici per valutarne appieno l’impatto. Come Alice attraverso lo specchio, ci troviamo a esplorare territori nei quali le leggi della fisica, del tempo e dello spazio potrebbero assumere contorni fusi e un po’ “confusi”, dove il corpo si traduce in codice e il codice genera nuove esperienze. Ma potremmo chiederci se questa traduzione non comporti una perdita sostanziale di qualcosa di essenzialmente umano. Non è solo questione di nuovi strumenti o linguaggi, ma una potenziale metamorfosi del nostro modo di percepire, pensare, creare e condividere, i cui effetti a lungo termine rimangono largamente inesplorati.
L’artista digitale può essere pensato come un creatore di universi, sebbene questo ruolo demiurgico possa nascondere il rischio di un distacco progressivo dalla concretezza dell’esperienza materiale.
Durante il nostro breve itinerario attraverso le problematiche del metaverso, assistiamo a quella che potrebbe essere un “evoluzione – o forse un’involuzione – della nostra percezione. Mentre i primi videogiochi immersivi ci introducevano in questo “nuovo mondo”, gli attuali spazi del metaverso sembrano trasformare la nostra sensibilità, ma non necessariamente in meglio. Il pensiero trova altri spazi, sviluppando nuove capacità cognitive che ci permettono di navigare in questi universi alternativi, anche se questo potrebbe avvenire a discapito di altre forme di intelligenza più tradizionali, ma non meno preziose. Questa espansione non solo non è “neutra”, ma potrebbe nascondere insidie. La frammentazione dell’attenzione e la superficialità dell’esperienza non sono rischi ipotetici, ma realtà già osservabili. Il corpo, inizialmente considerato assente in questi regni virtuali, richiama con forza l’importanza della sua centralità, allusa da forme di propriocezione digitale che, per quanto sofisticate, potrebbero rivelarsi parvenze inadeguate dell’esperienza corporea autentica.
Le comunità artistiche si evolvono in reti mutevoli e interconnesse. In esse l’atto creativo diventa “atto collettivo” e partecipativo, ma questa collettività virtuale potrebbe paradossalmente mascherare nuove forme di esclusione. Gli NFT introducono il concetto di scarsità digitale, permettendo nuove forme di autenticità e valore nel mondo virtuale, anche se resta da vedere se questa non sia solo una replica sintetica di dinamiche di mercato tradizionali. Il movimento stesso diventa parte integrante dell’esperienza artistica, dando vita a coreografie digitali che potrebbero però mancare della spontaneità e dell’imperfezione che caratterizzano l’arte analogica.
Nonostante lo slancio verso l’immateriale e la “dematerializzazione” dell’esperienza artistica, si può intuire un rinnovato bisogno di corporeità, di presenza, di relazioni autentiche, forse come reazione a un eccesso di virtualizzazione. È come se il virtuale, nel suo tentativo di trascendere i limiti della materia, ci riportasse proprio a quella dimensione incarnata dell’esperienza che sembrava voler superare, suggerendo che forse l’immaterialità totale non è la risposta che cerchiamo.
Resta dunque da chiedersi se questa tensione tra materiale e immateriale, tra presenza e assenza, tra individualità e collettività, possa effettivamente generare nuove forme di sensibilità e conoscenza, o se invece produca alienazione dal reale. Il pericolo concreto è che si stia creando un guscio povero di significato, in una proliferazione di esperienze virtuali che, pur nella loro scintillante fascinazione tecnologica, potrebbero mancare di autentica profondità umana.
Il metaverso si presenta quindi non tanto come una risposta, quanto piuttosto come un “campo di interrogativi” sul futuro dell’arte e dell’esperienza. È possibile che assisteremo all’avvento di un futuro in cui reale e virtuale non saranno dimensioni opposte, ma aspetti complementari di una nuova forma di esistenza, sempre che si riesca a mantenere un equilibrio salutare tra queste due dimensioni.
Perciò mi sentirei di promuovere un uso consapevole del metaverso, adottando però un antidoto naturale contro il rischio di smarrimento digitale. Come nella sezione aurea dell’arte classica, potremmo immaginare una “nobile proporzione” tra reale e virtuale: per ogni ora trascorsa a contemplare quadri pixelati nel metaverso, sarebbe saggio dedicarne tre a perdersi tra pennellate e marmo di un museo reale.
NOTE
1 Il presente e i passi successivi tra virgolette sintetizzano i contenuti dell’articolo di Hurst W., Spyrou O., Tekinerdogan B., Krampe C., Digital art and the metaverse: benefits and challenges. Future Internet, 2023;15(6):188
2 Il presente e il passo successivo tra virgolette sintetizzano i contenuti dell’articolo di Lee J., A study on the intention and experience of using the metaverse, Jahr, vol. 13, no. 1, p. 177-192, 2022.
3La blockchain è una tecnologia di registro distribuito che memorizza e verifica le transazioni in modo decentralizzato e immutabile. Funziona come un database condiviso tra più nodi di una rete, dove ogni nuovo blocco di informazioni viene collegato crittograficamente ai precedenti, creando una catena di dati verificabile e resistente alle manomissioni. Questa architettura garantisce trasparenza e sicurezza senza richiedere un’autorità centrale di controllo, poiché il consenso sulla validità delle transazioni viene raggiunto attraverso meccanismi distribuiti tra i partecipanti della rete. Inizialmente sviluppata per le criptovalute, la blockchain trova oggi applicazione in diversi ambiti, dai contratti intelligenti alla certificazione di proprietà digitale.
4Gli NFT (Non-Fungible Token) sono attestazioni digitali uniche e non replicabili basate sulla tecnologia blockchain. Rappresentano certificati di proprietà e autenticità di beni digitali o fisici, consentendo di stabilire un diritto di proprietà verificabile su opere d’arte, contenuti multimediali o altri asset virtuali.
5La ‘scarsità digitale’ è il processo di creazione di valore economico per oggetti digitali attraverso l’introduzione di elementi di unicità e limitazione nella loro disponibilità. Il concetto emerge come risposta alla natura intrinsecamente replicabile degli oggetti digitali, che possono essere teoricamente duplicati all’infinito a costo zero. Attraverso tecnologie come gli NFT (Non-Fungible Token) e la blockchain, la ‘scarsità digitale’ permette di stabilire un’autenticità verificabile e una proprietà unica nel dominio digitale, creando così le condizioni per un mercato dell’arte digitale basato sul valore dell’unicità.
6Varinlioğlu G., Oğuz K., Turkmen D., Ercan I., & Turhan G., Work of art in the age of metaverse – exploring digital art through augmented reality, 2022.
7Il presente e il passo tra virgolette e il successivo sintetizzano i contenuti dell’articolo di Bernaschina D., Inclusive metaverse in media arts education: new innovative-methodological proposal for inclusive school. Metaverse, 2023;4(2).
8 Lee J., Op. cit., p.187.
9Ivi.
10Rem, Rungu, Lin., Koo, Yongen, Ke., Leixin, Luo. 4. Body Cosmos VR. (2023). doi: 10.1145/3610549.3614590. Stylianos, Mystakidis., Vangelis, Lympouridis. (2024). 3. Designing Simulations in the Metaverse: A Blueprint for Experiential Immersive Learning Experiences. Springer series on cultural computing, doi: 10.1007/978-3-031-57746-8_4, Munir, Ahmad., Aiman, Shahzadi., Rubén, González, Vallejo., Zahra, Naeem., Duc, Binh, Tran. (2024). 2. Virtual Realities, Real Societies. Advances in human and social aspects of technology book series, doi: 10.4018/979-8-3693-7914-1.ch005.
11Il live coding è una forma di performance in cui il codice viene scritto dal vivo per generare musica, suoni o altri contenuti digitali. Durante l’esibizione, il processo di programmazione viene proiettato su schermi, rendendo visibile al pubblico la creazione dell’opera mentre l’artista (live coder) modifica ed esegue il codice in tempo reale.
Le immagini e i video posti in dialogo con il saggio di Mauro De Martini sono dell’artista visivo Flavio Di Renzo. Di seguito alcune note sui due lavori gentilmente concessi a questa rivista per la pubblicazione [ndr].
ECHO indaga attraverso la fotografia il fenomeno acustico da cui prende il nome il comportamento delle onde sonore, per il quale un suono prodotto davanti a un ostacolo, è nuovamente udito nel punto in cui è stato emesso.
Gli scatti fotografici sono la sovrapposizione antistante e retrostante contraria dello stesso soggetto in un arco temporale più o meno lungo; vengono realizzati dapprima davanti e poi nel luogo opposto, al contrario.
Spostandosi tra i due punti di vista a diverse distanze in diversi momenti, si sommano le informazioni percettive perché cambiano i contesti ambientali che circondano il soggetto.
Le opere mostreranno così scorci notturni e non, fenomeni atmosferici, l’alternarsi delle stagioni.
L’associazione poi alla tecnologia della realtà aumentata, rende vive le opere. Tramite l’app SlashFolderAR sviluppata dall’artista, si potranno ascoltare i suoni, a cura del gruppo musicale O to Stella, anch’essi sommati tra loro e si potrà osservare quello che quei luoghi erano/saranno per una fruizione multilivello.
Di Renzo si serve, come nel caso di Echo, della rielaborazione di un fenomeno acustico per condurre l’opera fotografica a un livello multidisciplinare e trasversale. Dapprima il colle erboso è libero da ogni ostacolo naturale, successivamente però, dal punto opposto e contrario, una foresta impedisce di scorgerlo, questa foresta si sovrapporrà allo scatto precedente. Se prima si udiva solo il fruscio dell’erba, ora la vegetazione, più fitta, brulica di fauna e i lontani corsi d’acqua cullano le rocce, anch’essi si sovrapporranno. Come accade al suono che colpendo un ostacolo torna al suo punto di origine, così lo sguardo dell’autore, rimbalza in avanti e indietro come il pendolo di un orologio che scandisce il tempo che passa. Un’esperienza visiva multilivello, risultato di una compenetrazione che è in grado di sovrapporre il presente e l’imminente futuro da due punti di vista differenti e opposti.
EMIKRANIA. Scegliere di interrogarsi sul significato di termini come estraneità esige una riflessione complessa, che spinge a ridefinire i confini della propria identità. Cosa significa sentirsi estraneo? Stabilire una connessione con la propria essenza potrebbe apparire scontato, eppure esistono individui che non si riconoscono. Manifesta o tacita questa forma di disagio conduce all’alienazione che, nutrendosi della frattura tra il sé percepito e il sé autentico, genera un conflitto interiore che provoca angoscia e emarginazione.
La relazione che intercorre tra uomo e dolore è intricata, attraversa terreni tortuosi, colmi di ostacoli psicologici, emotivi e fisiologici. Gli scatti appartenenti alla serie Emikrania, mostrano come l’artista Flavio Di Renzo trasforma in narrazione visiva i suoi attacchi emicranici durante i quali entra in un non luogo, in una dimensione senza riferimenti.
Le immagini diventano parte di una riflessione delicata e intimamente connessa alla biografia dell’artista che servendosi di sfumature, giochi di luce e tinte cromatiche distorte restituisce in modo tangibile la frammentazione della visione dovuta all’emicrania con aura. Di Renzo utilizza il mezzo fotografico per immergere lo spettatore in tutte le fasi di un episodio emicranico, dalle allucinazioni fino alla parestesia, alterazione degli stimoli sensoriali accompagnata da una sensazione di intorpidimento che può portare a confusione e dissociazione dovute alla perdita di controllo sul proprio corpo. I sensi tradiscono travolgendolo l’artista che, temporaneamente privato della possibilità di comunicare con l’altro, è posto in una situazione simile a quella generata dall’assenza di una lingua o una cultura comune.
Le fotografie ritraggono questo percorso di transizione da un’apparente normalità a un turbine di sensazioni. La luce passa dal rivelare al confondere, contribuendo a una sorta di distorsione visiva che enfatizza il disagio e il disorientamento provati durante una crisi.
Col susseguirsi degli scatti emerge una sfida essenziale al superamento della crisi: l’incapacità di percepire e interpretare le sensazioni tattili che, come un peso inquantificabile, può generare un’alterazione profonda della comprensione del mondo circostante e del rapporto con esso.
Le opere restituiscono la realtà percepita durante questo stato di alterazione e sottolineano l’indiscutibile soggettività della percezione umana, rendendola al tempo stesso leggibile alla moltitudine.
Con Emikrania Di Renzo espone se stesso rivelando come la sensazione di estraneità possa colpire nell’intimo, anche in assenza di evidenti differenze socio-culturali o fisiche, trasformando ciò che prima appariva incomunicabile in linguaggio universale.
NOTE BIOGRAFICHE
Nato e cresciuto in Abruzzo, Flavio Di Renzo proviene dall’arte performativa del TeatroDanza, attività che ha coltivato assieme alla passione per l’immagine, in particolare quella fotografica.
A Milano frequenta un master con Silvia Lelli e Roberto Masotti, producendo il lavoro In Equilibrio, sul Confine che nel 2022 sarà tra i protagonisti di Caleidoscopio a cura di Fortunato D’Amico e Chiara Ferella Falda per Genova Be Design Week 2022 e Genova stART presso la galleria d’arte contemporanea Lazzaro. Sempre a Milano espone il lavoro Milano – L’uomo e la città – Expo 2015 – Riflessi, a cura di Chiara Ferella Falda è prodotta da Superstudio13.
Nel 2021 fonda SlashFolder, una piattaforma di ricerca digitale, grazie alla quale mette a punto il format Opere in divenire, che rende vive le opere d’arte mediante l’utilizzo della tecnologia in realtà aumentata.
Nello stesso anno produce Più che ottiene l’alto patrocinio della regione Abruzzo e con il quale partecipa a MIA Photo Fair in collaborazione con RED LAB Gallery. La rivista Artribune, lo cita tra i dieci stand più interessanti di quella edizione. Seguono menzioni d’onore al Monochrome Photo Awards e all’Annual Photo Awards. Con l’opera Bodyscape si aggiudica la finale in Arte Laguna Prize 2023. Sempre nel 2023 vince il premio MIA New Post Photography con il progetto fotografico in realtà aumentata Echo scelto poi per Paratissima dove vince il Nice&Fair Contemporary Vision Prize.
Collabora attivamente con il dottor Pier Giuseppe Carando, logopedista, mettendo a disposizione le sue competenze sulla realtà virtuale per curare pazienti affetti da balbuzie. Continua a lavorare a Emikrania, un percorso artistico multimediale che indaga la problematica di cui soffre. Questa esperienza utilizza la realtà aumenta che diviene uno strumento diagnostico per chi, come Di Renzo, soffre di un disturbo che può portare anche a perdere la vista. Con l’opera Distacco si aggiudica la finale del Combat Prize 2024.
Attualmente è direttore creativo dello spazio espositivo, polo culturale HIGHlLINE, in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano.
Il sito di Flavio Di Renzo.