Nel paese dei gigli selvatici
per una fotografia partecipativa

© Francesca Loprieno, Nel paese dei gigli selvatici,
particolare affresco della volta dell’Eremo di San Micel, Fonzaso, 2022

Secondo la sociologia visuale, le immagini costituiscono delle testimonianze oculari dei fenomeni sociali che ci aiutano in gran parte a comprendere la storia, a pensarla e in alcuni casi anche a reinterpretarla. Usate inizialmente in campo etnologico ed etnografico o dall’antropologia culturale, l’utilizzo delle immagini in ambito sociale ha reso possibile la ricostruzione della realtà quotidiana, anche se molto spesso sfuggente e inaccessibile.
Uno dei primi casi, degni di nota, di immagini fotografiche istantanee non più considerate come unico accompagnamento illustrativo, ma come fonti originali, è quello dell’American Journal of Sociology che, tra il 1896 e il 1916, sperimenta il rapporto complementare e di reciproca stima, attraverso una fertile ma breve collaborazione tra sociologia e fotografia. Questa branca della sociologia qualitativa considera importante l’uso di tecniche e metodi di natura iconica nella ricerca sociale e individua il ruolo primario dell’esperienza visuale nel processo conoscitivo, tramite il dato visuale stesso1.

American Journal of Sociology,
Volume ii November 1896, Number 3, Abstract and pratical ethics, Wikisource

Quando parliamo di immagini istantanee, in questo caso, facciamo riferimento a tutte quelle fotografie di carattere vernacolare che spesso sono archiviate, e mai catalogate, in case, cassetti, scatole o scrigni di gente che abita un determinato comune, paese o città. Altri luoghi di incredibile testimonianza sono i mercatini delle pulci, fonti inesauribili di immagini che, se pur abbandonate a se stesse negli appositi scaffali, appaiono come un archivio tra i più poetici da incontrare. Una vera fonte di mirabilia.

©Francesca Loprieno, Nel paese dei gigli selvatici (dittico)
fotografia vernacolare di archivio privato e fotografia dell’artista, Fonzaso, 2022

A stimolare questa ricerca visiva è sicuramente l’indole esplorativa di chi ci si imbatte,dall’accezione geografica e territoriale all’attitudine visionaria e storica, che spesso vede nel viaggio e nell’attraversamento dei luoghi, la rielaborazione di nuove esperienze. Nulla di nuovo se si pensa al famosissimo fenomeno del Grand Tour che sin dai tempi remoti, ha mosso popolazioni di artisti e intellettuali e di gente comune in epoca contemporanea, verso nuove mete, sognate o, ancor meglio, immaginate.

©Francesca Loprieno, Nel paese dei gigli selvatici (dittico)
elaborazione grafica, fotografia dell’artista e transfer di immagini dell’archivio fotografico feltrino, Fonzaso, 2022

Attraverso paesaggi remoti e marginali, scenari quotidiani, rurali o urbani, luoghi erranti dell’immaginazione, la visione di queste immagini attiva narrazioni che comunicano il passato, storie mitologiche, leggende metropolitane, ma anche nuovi modi di percepire e percorrere il mondo. Sono un’esplorazione benefica per gli abitanti del luogo che ricordano situazioni o memorie passate, ma anche fonte di scoperta per le nuove generazioni che attraverso la visione di queste immagini riscoprono tradizioni e storie lontane.
A partire dalle pratiche tra le più disparate, ad esempio la ricerca negli archivi, le interviste ai protagonisti dei luoghi (gli abitanti, tutti) o l’attivazione di veri e propri strumenti e metodi di indagine, come il photovoice, ci si prefigge di coinvolgere direttamente le persone inducendole a riflettere su specifiche tematiche e sui modi per produrre un cambiamento all’interno della comunità.

©Francesca Loprieno, Nel paese dei gigli selvatici (estratto audio)
Incontro con il poeta Francesco Bof (Olremle)

Cosa accade quando è invece la pratica artistica o l’intervento di un artista in un luogo a generare un’azione partecipativa?
Sono giunta nel piccolo comune di Fonzaso e nella sua frazione di Arten, in provincia di Belluno, dopo aver fatto un viaggio lungo ed estenuante, dalla Francia all’Italia e dall’Italia dentro un’altra Italia, quella della vita di un piccolo comune, a detta dei suoi abitanti, sempre uguale e senza mai nulla che accada per davvero.
Due settimane per generare un’azione partecipativa che attraverso le immagini fotografiche degli abitanti del luogo, e poi anche le mie, avrebbe dovuto far emergere la storia, i costumi e le curiosità di questo piccolo comune situato nel nord est dell’Italia. Una responsabilità non da poco se si considera che, quando ci si imbatte in una ricerca, una delle cose più frequenti è quella di ritrovarsi in mezzo a una costellazione, una trama di connessioni, che potrebbero portare ovunque il nostro interesse o meglio il nostro sguardo.

©Francesca Loprieno, Nel paese dei gigli selvatici,
ritratto di Smeraldo, Fonzaso, 2022

Da qualche tempo rifletto sulla nozione di Attraversamento come fil-rouge della mia pratica artistica. Una sorta di auto-dichiarazione dintenti tra me e me, che s’impegna a vedere nell’erranza o nell’irrequietezza di una possibile stabilizzazione, la premessa essenziale di una ricerca artistica che possa sempre portarmi altrove.
Come un libro caotico (alla Chatwin), che va ben oltre i limiti convenzionali del racconto, mischiando reportage, autobiografia, etnologia, saggio e memoria orale, mi sono posta l’obbiettivo di non raccontare una storia, ma di cercare connessioni, trame, intrecci per allargare o ancor meglio colorare la visione di un luogo ai miei occhi sconosciuto. L’idea di “frammentare un grande scenario in schegge luminose”, di portare alla luce attraverso le persone incontrate, una possibile ma non veritiera personale visione di questo luogo, mi ha permesso di agire in totale libertà attraverso la mia pratica artistica.

©Francesca Loprieno, Nel paese dei gigli selvatici,
immagini di archivio e studio di ritratti e analogie, abitanti di Arten (frazione di Fonzaso), 2022

Ed è così che Norma, Francesco (in arte Olremle), Elsa l’assistente, Don Alberto, il Guardiano del Fuoco, la Cioeta (che non ho mai incontrato), la Signora degli Angeli (di cui mi hanno parlato), Giovanni, Guido il giornalista, Oriana la bibliotecaria, i Bambini d’un Tempo2, lo sconosciuto sul Monte Avena, il pensionato della chiesetta di Sant’Anna, Smeraldo, Lucien il francese di Arten, il Cileno, e molti altri, sono diventati i miei compagni di viaggio reali o immaginati che attraverso le loro storie e i loro incontri mi hanno reso protagonista di questo luogo che è Fonzaso, contribuendo a questo movimento generativo e partecipativo dell’attraversare uno spazio. E se è vero che l’altrove non è indicato da un punto cardinale, sicuramente questo viaggio ha aperto molteplici direzioni di scoperta.

©Francesca Loprieno, Nel paese dei gigli selvatici,
ritratto di Olremle, Fonzaso, 2022

In questo navigare a vista tra i personaggi e le loro storie, che ho accuratamente registrato, i luoghi e i paesaggi sono stati lo sfondo per continuare a perdersi in un orizzonte, sconosciuto alla mia quotidianità: quello della montagna.  Tra angoscia e paura, ho mosso i miei passi, accompagnata da una bicicletta che mi ha donato un abitante del luogo, all’interno di percorsi nuovi ed estranei, nell’attesa che anche il paesaggio potesse accogliermi e farmi sentire partecipe del suo processo vitale.

©Francesca Loprieno, Nel paese dei gigli selvatici,
veduta di Fonzaso, 2022

Quando ci si imbatte in un’azione partecipativa, non sono solo le persone a essere protagoniste del processo, il paesaggio, soprattutto quello dei piccoli comuni, come nel caso di Fonzaso, caratterizzato come molti altri in Italia, da fenomeni di spopolamento o abbandono, diventa lo scenario metafisico di associazioni,  riferimenti popolari o letterari che possono entusiasmarci o incuriosirci fino anche a credere che il Mazaròl o L’On Salvàrech, siano davvero esistiti.


©Francesca Loprieno, Nel paese dei gigli selvatici,
studio e ricerca di analogie sul paesaggio feltrino, Fonzaso, 2022

In questi luoghi tutti gli abitanti fanno parte di una grande famiglia comunitaria e la presenza sconosciuta, l’invasione di un estraneo, può determinare un estraniarsi dal confronto, dalla partecipazione o dalla voglia di raccontarsi, o al contrario, generare un flusso di coscienza senza limiti, un’apertura quasi terapeutica e liberatoria. Incontrare l’altro è sempre un’esperienza di scoperta, rendere comunitaria la sua vita è un processo complesso che richiede tempo, fiducia e soprattutto non abbandono. Soprattutto quando sono gli anziani o i bambini a raccontarsi.
Alla luce di questi quindici giorni passati nel comune di Fonzaso, al di là dell’esperienza della mia residenza artistica, mi sento altamente responsabile dei racconti e delle storie che ho ascoltato. Sono portatrice di due segreti di cui mi è stato raccomandato di non raccontare nulla a nessuno, sono conservatrice di VOCI e di storie che dovranno trovare una giusta collocazione in questo processo di attraversamento, sono responsabile delle immagini che mi sono state donate e anche di quelle che io ho realizzato, rubando l’anima a cose, oggetti, persone e paesaggi. Sono responsabile in parte della memoria storica contemporanea del breve frammento in cui ho attraversato questo luogo, sono grata della fiducia ricevuta e di tutto quello che accadrà nel prossimo futuro.
Restituire attraverso un’azione pubblica, artistica e di partecipazione, mi sembra l’atto più doveroso per ridonare alle persone che mi hanno accolto tutto quello che mi è stato dato. Credo sia la più grande responsabilità dell’arte in questo momento storico.
Ed è così che Nel paese dei gigli selvatici, accompagnata da un’inattesa fiammata di calore, tra le montagne, tra i pascoli e i versanti spesso dirupati, tra i Barch che servivano per la raccolta del fieno e sotto cui si sono consumate, secondo varie leggende, le più belle storie d’amore, ho incontrato questi gigli, che sono gli abitanti di questo luogo, presenti con costante puntualità nei soliti posti, in una piazza circondata da un bar, una ferramenta e la sede del Comune, come piante longeve in attesa di potersi raccontare.
Lascio questi fiori, considerati “protetti” e che non devono essere raccolti in alcun modo, insieme ai loro abitanti e allo scorrere della loro vita, ben radicati nella loro terra e li ringrazio per aver partecipato al mio passaggio, rendendomi parte di questa comunità anche solo per il tempo di un attraversamento.

©Francesca Loprieno, Nel paese dei gigli selvatici,
VOCI – fotografia partecipativa, residenza artistica, Fonzaso, 2022.
Un progetto di Dolomitihub

Questo articolo è dedicato a Norma Marcon per le ragioni che lei stessa conosce.

NOTE

1Sociologia Visuale, Osservatorio, Comunicazione e Media:
///Volumes/francesca/fonzaso_res/1263952755.pdf.
2 F. Padovani (a cura di) 
Bambini d’un tempo, Libreria Editrice Agorà, Seren del Grappa, 2002.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

P. Bordieu (sous la direction de) Un Art Moyen, Essaye sur les usages sociaux de la photographie,Les édition de minuit, 1965.
B. Chatwin, Anatomia dell’irrequietezza, Edizioni Adelphi, 2005.
F. Padovani (a cura di) Bambini d’un tempo, Libreria Editrice Agorà, Seren del Grappa, 2002.

SITOGRAFIA DI RIFERIMENTO

Per le immagini: Archivio Fotostorico Feltrino
Per i documenti: Sociologia Visuale, Osservatorio, Comunicazione e Media:
///Volumes/francesca/fonzaso_res/1263952755.pdf