A Complete Unknown

Timothée Chalamet in A Complete Unknown, 2024, regia di James Mangold

A Complete Unknown riprende lo stesso tema di Io non sono qui (I’m not there, di Todd Haynes, 2007). Ossia: Bob Dylan è un musicista che non ha mai voluto stare al “proprio posto”. La sua storia è quella di un artista alla continua ricerca delle proprie diverse identità, rifiutandosi di accettare il ruolo che altri (pubblico, colleghi, produttori) gli avrebbero contrassegnato: cantante folk, erede tra gli eredi di una tradizione musicale (americana) che aveva come punto di riferimento il grande Woody Guthrie (nel film interpretato dall’ottimo Scoot McNairy).

Woody Guthrie il menestrello che ha rivoluzionato la musica folk quando l’ha usata per esprimere le sue opinioni, spesso radicali, sulla società. Senza Guthrie Bob Dylan, Bruce Springsteen e Joan Baez non esisterebbero

A COMPLETE UNKNOWN, Teaser ufficiale, distribuzione Searchlight Pictures. Tutti i diritti riservati

Trailer di I’m Not There Trailer (2007), regia di Todd Haynes

Certo, i due film sono profondamente diversi nella loro struttura. La pellicola di Haynes è costituita da vari episodi che mostrano diverse fasi e diverse facce (nel vero senso della parola) di Dylan, sviluppando così un intreccio originale, quanto tortuoso e sfaccettato, che si discosta nettamente dai cliché dei biopic tradizionali. A Complete Unknown è, invece, un film lineare, in cui si racconta la prima fase della carriera di questo grande e poliedrico artista, partendo dagli esordi come cantautore folk, fino alla “svolta” del Newport Festival nel 1965: quando Dylan introdusse la chitarra elettrica nelle sue canzoni, spostando così la direzione della propria musica verso nuovi orizzonti. La cosa inizialmente creò indignazione, sia tra il pubblico dei puristi, sia tra altri musicisti presenti (come l’amico Pete Seeger) e gli organizzatori del festival; ma alla fine, come è noto, questa scelta si rivelò essere vincente.

Joan Baez e Bob Dylan al Newport Folk Festival, 1963. Foto © di Rowland Scherman.
Monica Barbaro e Timothée Chalamet, A Complete Unknown, 2024

La solida regia del “tradizionalista” James Mangold (che si è ispirato al libro biografico Dylan Goes Electric!, di Elijah Wald) descrive gli ambienti, i diversi personaggi e le loro vicissitudini, in modo certamente romanzato – come l’usanza dei film biografici vuole – restituendo però il sapore di un’epoca all’insegna di un perenne fermento e stravolgimenti culturali che hanno segnato la Storia (in sottofondo passano anche frammenti delle vicende politiche e sociali degli anni Sessanta, come l’omicidio di John Kennedy e la crisi dei missili a Cuba).
Timothée Chalamet, nonostante il suo volto da ragazzino forse un po’ troppo pulito, restituisce un giovane Dylan sfrontato, egoico e sicuro di sé; ma comunque in preda a una costante irrequietezza. Gli altri attori, per esempio un invecchiato Edward Norton nella parte di Pete Seeger, o una troppo bella Monica Barbaro in quella di Joan Baez, adempiono al loro ruolo di comprimari in maniera puntuale.

Timothée Chalamet e Edward Norton (interprete di Pete Seeger), A Complete Unknown, 2024

In sostanza, A complete Unknown scivola via con pochi inciampi, senza correre il rischio di essere lezioso; eventualità possibile, vista la confezione hollywoodiana volta a evidenziare – e celebrare – il maledettismo, un po’ da passerella, di Chalamet. D’altra parte, bisogna riconoscere che in molti biopic, cinematografici o televisivi, la faccia del divo precede sempre il volto del personaggio; anche quando l’attore compie un’operazione di mimesi al limite del caricaturale. Cosa che Chalamet evita, restando fedele alla propria bellezza (come accennato sopra), senza però tradire la complessità del personaggio che è chiamato a interpretare. In poche parole: Chalamet resta Chalamet, riuscendo però a trasmettere l’essenza di Dylan in quella fase storica della sua vita.
Ed è forse questo l’aspetto più interessante del film di Mangold: essersi concentrato unicamente su un periodo della carriera di Bob Dylan. Il momento in cui, dopo la fase degli esordi, compie la sua prima mutazione artistica, dichiarando al mondo che lui sarà sempre altrove; rendendosi ogni volta sfuggente e inafferrabile.
All’inizio del film, Bob Dylan semplicemente “appare”. Scende da un’auto, come un uomo senza nome e senza passato, e comincia una delle sue tante vite. No direction home, quindi, per citare un verso della canzone Like a Rolling Stone; oppure il titolo del documentario che Martin Scorsese girò su Dylan nel 2005 (ne realizzò anche un altro, nel 2019: Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story by Martin Scorsese).

Trailer Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story by Martin Scorsese, 2019, Netflix. Tutti i diritti riservati

In definitiva, senza essere un capolavoro e restando nel suo diligente dogmatismo hollywoodiano, esplicitamente derivativo, A Complete Unknown riesce comunque a trasmettere l’essenza dell’artista Bob Dylan.
Colui che per contribuire a cambiare la storia della musica, ha sentito l’esigenza di mutare più volte pelle, pur rimanendo sempre sé stesso.
A Complete Unknown: un perfetto sconosciuto.
Like a Rolling Stone.

A Complete Unknown, 2024, regia di James Mangold