BRANDING TERROR
Come dare forma all’odio per sedurre

Copertina del volume Branding Terror, Merrel London, 2013

Siamo immersi in un flusso di comunicazione dominato dai brand, Apple, Nike, Ibm, New York City, Parigi, per non dimenticare tutti gli influencer-brand-viventi. Quindi, come possiamo credere che un gruppo di banditi chiamato Isis, un gruppo che in passato ha occupato con violenza porzioni dell’Iraq e della Siria, possa improvvisamente elevarsi allo stesso livello di alcuni dei nostri marchi più amati?
I marchi non sono semplicemente il risultato di un pensiero strategico e creativo partorito in un’agenzia di comunicazione nel tentativo di sedurre potenziali clienti e fidelizzarli. I marchi sono comunità di persone guidate da un sistema di credenze comuni. Questo sistema attrae altri individui che condividono le stesse convinzioni e punti di vista, che si tratti di due fratelli che costruiscono una bomba in uno scantinato di Boston o di due miliardi di persone che definiscono una nazione.
Come scrive il consulente per l’antiterrorismo delle Nazioni Unite Artur Beifuss, coautore con Francesco Trivini Bellini del libro Branding terror (branding terror the logotypes and iconography of insurgent groupsand terrorist organizations, Merrel London, 2013), «Il branding impiegato dai gruppi terroristici è un argomento poco studiato. [] Il brand, il marketing e la comunicazione visiva di idee e messaggi sono strumenti [] utilizzati non solo dalle aziende e partiti politici.»

Come sottolinea ancora Beifuss, molti studi definiscono la natura e la portata degli atti terroristici, ma «non ci aiutano a capire le identità di marca delle organizzazioni terroristiche [] e come e perché portano determinati significati, emozioni e valori».
Attorno al 2015, il mondo ha osservato con fascino e orrore come la banda di guerriglieri che si fa chiamare Isis si sia spostata attraverso la Siria e l’Iraq, diffondendo paura in tutto il mondo, ma esercitando al contempo una certa capacità attrattiva e mostrando una grande consapevolezza nell’uso dei media per amplificare la portata “terrorizzante” delle loro azioni.

Branding Terror, 2013

Questa capacità di usare i media per comunicare e contribuire a dare forma al proprio brand è stata appannaggio anche di gruppi simili ma diversi come Al Qaeda guidata da Osama Bin Laden e responsabile dell’attentato dell’11 settembre negli USA L’atto insensato, reso spettacolare dai media occidentali, acquisì rapidamente “senso”, venne rivestito di messaggi politici e cominciò a circolare trasformando la sua portata comunicativa e di contenuto.
Alcuni gruppi terroristici, Isis forse meglio di altri, sono stati capaci attraverso la diffusione di messaggi, simboli e soprattutto immagini fotografiche di qualità, di sviluppare nel pubblico una narrazione credibile, seducente e in continuo sviluppo come accade per i marchi più famosi con cui molti gruppi terroristici hanno in comune anche la narrazione del mito dell’origine.
Il mito dell’origine è la base di tutta la narrativa: Google ha iniziato in un dormitorio di Stanford, Apple romanticamente concepita in un garage, Facebook è nato in un dormitorio di studenti e l’Isis era originariamente composto e sostenuto da una varietà di gruppi ribelli sunniti e ha subito diversi cambi di nome prima di diventare Isis nel 2013 in seguito all’espansione in Siria.
L’Isis mira a creare una teocrazia islamica, governata dalla legge della sharia su un’ampia fetta di territorio che si sviluppa soprattutto in Medio Oriente.
Come il mondo ha visto, la loro convinzione è ferma. Quando le forze militari dell’Isis entrano in una comunità, coloro che non si convertono immediatamente vengono uccisi all’istante spesso decapitati e anche questo aspetto di stoica dedizione alle regole, debitamente comunicato, diventa attrattivo.
Nel Medioevo, come sottolinea Steven Heller nell’introduzione a Branding Terror, gli eserciti identificavano l’amico dal nemico tramite stendardi decorati con draghi, leoni, aquile e altre forme. Come quegli eserciti medievali, l’Isis ha una bandiera nera. Indossano anche abiti distintivi (comprese maschere nere) usano armi specifiche che contribuiscono a definire l’identità del soldato.
Del resto i marchi usano simboli e icone. Amiamo radunarci attorno alla bandiera e ai loghi di Nike, Ferrari, Juventus o band musicali.
E ognuno definisce ed esibisce i propri specifici rituali. I rituali che circondano l’Isis sono i riti della guerra. Violenze brutali hanno accompagnato le loro conquiste, con esecuzioni dirette subito contro cristiani e musulmani sciiti.
Le decapitazioni, come quelle dei giornalisti americani, sono eventi rituali tradizionali, anche quando non vengono trasmessi su internet globale. Un altro rituale è la conversione. Passare all’islam dell’Isis dalla tradizione cristiana o dal Pc al Mac comporta uno sforzo che poi renderà l’esperienza dell’adesione più intensa e quindi più duratura nel tempo.

I brand sono in grado di fornire ciò che manca nella vita delle persone e la riempie.
Aiutano a credere in qualcosa di più grande di noi stessi a sentire che apparteniamo a una community all’interno della quale ci sentiamo più protetti.
Branding Terror è un progetto per comprendere le identità visive delle organizzazioni terroristiche. Ciò necessita di studiare il terrorismo senza prendere posizione. Tutti i gruppi terroristici inseriti in questa raccolta, fra cui le nostrane Brigate Rosse, sono presentati attraverso una breve scheda descrittiva, l’elenco degli attentati più significativi che ne hanno fatto la storia e hanno contribuito a rendere il gruppo famoso, il tutto corredato dai riferimenti cromatici con codice Pantone, come in un qualsiasi Brand Manual aziendale, e da un’analisi accurata del logo utilizzato.

Branding Terror, 2013

Alcuni gruppi terroristici hanno anche subito un processo di rebranding e aggiornamento, come nel caso di Aum Shinrikyo, gruppo Giapponese che a fronte di cambiamenti radicali interni volti a rendere il gruppo più pacifico e chiudere l’esperienza degli attentati con l’antrace nella metropolitana pubblica, ha mostrato ad un certo punto un logo che addirittura evoca la Pace.

Branding Terror, 2013

Kalashnikov, pugni chiusi, spade ricurve e incrociate sono gli elementi più comuni nell’araldica del terrore, spesso affiancati da animali totem come nel passato, Tigri, Aquile, Leoni eccetera.
Il volume che presenta i gruppi terroristici in ordine alfabetico, oggi è ancora facilmente reperibile e, a mio avviso, si tratta di un progetto editoriale di grande interesse e utilità; è una fonte di stimoli e intriganti suggestioni soprattutto per chi studia grafica e avrebbe la pretesa di occuparsi di comunicazione, possibilmente senza passare prima da qualche associazione a delinquere di stampo terroristico.