[LIBERATIO]
GIUSEPPE VITALE

© Giuseppe Vitale, [LIBERATIO], 2021. Courtesy Red Lab Gallery

 

Orbene le scienze del linguaggio sono prime tra
i mezzi di liberazione.
René Daumal1

Ci sono perdite che appaiono, oltre che inaspettate, incomprensibili e incolmabili. Quando la perdita assume queste dimensioni, qualcosa cambia altrettanto inaspettatamente nella percezione che abbiamo della realtà, si compie una frattura tra il prima e il dopo. Irreparabile. La perdita che più di ogni altra provoca tale frattura è spesso quella di qualcuno che ci ha lasciati, non necessariamente, o non solo, fisicamente (ma più spesso sì), e tale evento sempre conduce l’essere umano a confrontarsi con la “mancanza”. L’assenza di un corpo libera uno spazio tanto esteriore quanto interiore, uno spazio che non avrà più le sembianze che aveva prima, uno spazio che diventa “nuovo”.

Tutto ciò non sempre è immediatamente comprensibile, la percezione lavora a un livello molto profondo, sensoriale, primitivo. La percezione non pensa, si esprime. Al tempo stesso quello spazio, divenuto improvvisamente libero, o per meglio dire liberato, preme per uscire alla luce poiché inevitabilmente alberga in una profondità oscura e solo di rado può insinuarsi nella crepa creata dalla mancanza e rendersi, così, visibile.

© Giuseppe Vitale, [LIBERATIO], 2021. Courtesy Red Lab Gallery
© Giuseppe Vitale, [LIBERATIO], 2021. Courtesy Red Lab Gallery
Il lavoro di Giuseppe Vitale si concentra sulla “misura” dello spazio liberato dalla mancanza; mette in evidenza la quantità di spazio in cui la nuova materia generata dall’assenza si muove. Questo è piuttosto significativo poiché lo spazio è di per sé immisurabile, non ha dimensione se non astratta (o convenzionale), come astratta (o convenzionale) è la quantità di materia che lo può riempire; entrambi – spazio e materia – sono incalcolabili.

La misura è altresì una convenzione che l’essere umano utilizza per creare confini entro i quali muoversi in presenza di un discreto comfort, implica un’idea di limite oltre il quale a volte appare rischioso avventurarsi e al cui interno spesso non si accettano intrusioni.

Nel proprio lavoro di indagine sulla mancanza, Giuseppe Vitale, esplorando le dimensioni dello spazio senza alcuna pretesa di volerlo misurare, tanto meno convenzionalmente, annulla completamente questo aspetto, immergendosi nello spazio stesso, ponendosi al suo livello e a quello della mancanza così come della materia che lo permea e che lo ha generato. Quasi “godendo” della sua continua scoperta, diviene egli stesso materia, annullando il proprio Sé. Tale condizione è possibile soltanto se ci si immerge nel dolore della perdita fino ad arrivare a essere privati della sofferenza generata dal dolore stesso.

Giunti all’assenza di sofferenza, godiamo del senso di liberazione2. Lo spazio assume così, in conseguenza, caratteristiche e forme mutevoli, fluide, attraversabili. In parole semplici, quei confini convenzionali che sulla terra ferma già poco efficacemente segnerebbero la separazione, nel profondo marino perlustrato dall’autore, metaforicamente associato al proprio spazio interiore, hanno ancor meno efficacia.

© Giuseppe Vitale, [LIBERATIO], 2021. Courtesy Red Lab Gallery
«Nel regno animale il mimetismo è uno dei primi sistemi di difesa che mettono in atto gli animali per la propria sopravvivenza, oltre alla lotta. – spiega Giuseppe Vitale – Mi interrogo sul concetto di difesa, su come difenderci da chi, per cosa e a quale prezzo. Cosa significa realmente difendersi e perché dobbiamo imparare a farlo. È davvero necessario?»

 

Dunque nel porsi difronte alla mancanza da cosa ci si vuole difendere? Compare un istinto di sopravvivenza, verosimilmente nei confronti del dolore. Ma quando, il dolore, cessa di colpirci? È proprio l’autore a spiegarcelo: quando si smette di dover imparare a difendersi da esso, vale a dire quando si rinuncia e lo si accoglie totalmente facendosi attraversare3. È in questo momento che si può riemergere, tornare a respirare nel mondo della luce.

Immergersi negli abissi marini implica un atto di fiducia, prima di tutto in se stessi e nella propria capacità recondita (inconscia) di risalire (riemergere). Ecco dunque che la profondità prende il significato di un ritorno all’origine, assume su di sé il rischio dell’oblio. Ma l’autore parla qui di “liberazione” come se essa potesse rivelarsi soltanto attraverso una discesa inesorabile e inevitabile. Per contro le immagini che in [Liberatio] raffigurano la parte “emersa” del mondo, passano dal particolare infinitesimale allo sguardo che abbraccia vaste porzioni di paesaggio come a voler sottolineare che l’emerso e il sommerso sono facce della stessa medaglia, che il dettaglio è parte integrante dell’intero senza il quale quest’ultimo non può esistere. E il dettaglio medesimo non ha alcuno scopo di esistenza e di salvezza senza l’idea che faccia parte di un intero. La salvezza, tutt’altro che tema astratto, implica la connessione con ciò che ci circonda, una connessione fisica ma anche spirituale e partecipe di una comunità, poiché, come ha scritto il drammaturgo napoletano Antonio Neiwiller:

 «Che senso ha se solo tu ti salvi»4.

© Giuseppe Vitale, [LIBERATIO], 2021. Courtesy Red Lab Gallery
© Giuseppe Vitale, [LIBERATIO], 2021. Courtesy Red Lab Gallery
 

Questo aspetto ci conduce a un altro concetto di spazio, entro il quale coesistono macro e micro cosmi; conduce alla molteplicità di particelle che compongono il quadro generale e a come l’assenza di una di esse, di un solo elemento, determina un ordine differente nel mostrarsi delle cose. Liberazione è quindi ciò che osserviamo senza necessariamente conoscere ma con la consapevolezza che esiste e può modificarsi. E in effetti liberazione nel linguaggio della chimica indica il separarsi di un elemento o di un composto da un altro corpo, o il formarsi allo stato libero di una molecola a seguito di una reazione o ancora il processo mediante il quale si rende disponibile una certa energia (forza), l’operazione che al termine di un collegamento – di un processo, potremmo anche dire – scioglie la catena di organi di commutazione e linee formatosi all’atto in cui il collegamento era stato stabilito rendendo gli organi (o i sensi) liberi di effettuare altri collegamenti. L’energia dunque si rende disponibile attraverso la liberazione che sfocia in una dimensione diversa, trasformata. Questo ci insegna la chimica.

«Le parole udibili; il suono; il legame che non coinvolge (il sacrificio): rende la forza […] Libera, piena di potenza»5

Nel proprio lavoro Giuseppe Vitale libera energia che esplode in una miriade di frammenti proiettati nello spazio in cui a volte si mostrano in moltitudine, in altre appaiono in solitudine, come se un occhio “superiore” fermasse, di tanto in tanto, una scheggia per osservarla meglio, più da vicino, con incredulità e lucidità.

Attraverso un’incessante lavorio di osservazione e attenzione, di allenamento a oltrepassare la misura in quanto confine, la ricerca dell’autore si sposta sempre più verso un’idea di sottrazione che si identifica non tanto con il concetto di “eliminazione” quanto con quello di “verità”. Giuseppe Vitale lavora sulla verità della visione, cioè quella visione pura legata unicamente all’immaginazione, completamente estranea alla documentazione. A Vitale infatti non interessa la “rappresentazione” delle cose, dei luoghi, meno ancora interessa l’interpretazione della realtà, egli intende approssimarsi a un modello di visione immaginale privo di riferimenti, vale a dire il “fermo immagine” del visivo nell’attimo del concepimento, quando non vi è ancora nessuna ipotesi di associazione con un pensiero che inevitabilmente cambia i connotati all’immagine, ne interpreta la forma pretendendo di confezionare per essa una “spiegazione”. Eppure in tutto ciò appare comunque un rito che si manifesta attraverso il gesto, quel gesto che alimenta la memoria malgrado il dolore o forse proprio a causa dell’attraversamento che se ne fa.

«Rievoco con un gesto – dice ancora l’autore – qualcosa che piaceva alla persona cara che non c’è più. Questa pratica mi fa stare bene. Si tratta di un rituale che mi mette in connessione con la persona cara. Una forma di preparazione mentale all’atto del fotografare. Come se avessi prima bisogno di incamerare sensazioni di questo genere e poi, solo dopo, liberarle in uno scatto. E poi ancora e ancora… all’infinito.»

© Giuseppe Vitale, [LIBERATIO], 2021. Courtesy Red Lab Gallery
© Giuseppe Vitale, [LIBERATIO], 2021. Courtesy Red Lab Gallery
 

Le immagini di Vitale sono pertanto pura immersione nel visivo. Così come egli immerge il proprio corpo nelle profondità marine praticando l’apnea, cercando il contatto con qualcosa di fluido e inafferrabile, come l’acqua, anche lo spettatore è invitato a immergersi nell’atto del guardare “liberando” la propria visione dagli stereotipi e dalle convenzioni che l’immagine fotografica subisce quotidianamente, perennemente condannata all’esercizio della “classificazione”. Analogamente lo spettatore è chiamato a immergersi nei luoghi, siano essi naturali o costruiti dall’uomo con la sola aspettativa di trovare “un contatto”, qualcosa che lo agganci trascinandolo in un universo fantastico ma niente affatto astratto, piuttosto vero in realtà, così vero da non riuscire più a riconoscerlo.

 

NOTE

1René Daumal (Boulzicourt, 16 marzo 1908 – Parigi, 21 maggio 1944), poeta, scrittore e filosofo francese. In Le speculazioni indiane sul linguaggio (Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche, Treccani, Roma, 1996). Citazione ripresa da: Mariangela Guatteri, Tecniche di liberazione, Benway series – Tielleci Editrice, 2013-2017.
2Marco Tullio Cicerone, De finibus bonorum et malorum (“Il sommo bene e il sommo male”), 1.11.37: cum privamur dolore, ipsa liberatione et vacuitate omnis molestiae gaudemus.
3Mariangela Guatteri, Tecniche di liberazione, cit.
4Antonio Neiwiller, in “Tutto Ricordare e Tutto dimenticare”, L’altro Sguardo. Per un Teatro Clandestino, dedicato a T. Kantor, Maggio 1993.
5Mariangela Guatteri, Tecniche di liberazione, cit.

 

La mostra: [LIBERATIO] di Giuseppe Vitale
Red Lab Gallery Milano
23 settembre – 19 novembre 2022

Giuseppe Vitale (Caserta, 1981), si laurea in giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli conseguendo il titolo di avvocato. Il suo primo approccio alla fotografia avviene solo nel 2015 quando, all’improvviso, viene a mancare il padre. La fotografia diventa, allora, rifugio e terapia del dolore. Selezionato da Antonio Biasiucci, partecipa alla terza edizione del “Lab/per un laboratorio irregolare” tenuto dal noto fotografo napoletano durante il quale produce Apnea, lavoro che entra a far parte della mostra collettiva itinerante EPIFANIE/03, 2021, esposta in diverse sedi italiane quali il Convento di San Domenico Maggiore a Napoli con la promozione del Campania Teatro Festival; il Museo Arcos di Benevento; la Galleria del Cembalo di Roma e al Festival Photolux di Lucca edizione 2022. Il progetto ha inoltre ricevuto da parte del Museo Madre di Napoli, il Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee e il patrocinio della SISF – Società Italiana per lo studio della Fotografia, mentre nel 2021 è stato insignito del Premio Asini, assegnato ogni anno dalla omonima rivista, per l’impegno sociale, il coraggio della ricerca e l’anticonformismo delle proprie idee.
In Italia è rappresentato da Red Lab Gallery Milano-Lecce.