Serge Gainsbourg, una retrospettiva a Parigi
per celebrare l’ultimo dei maledetti

Serge Gainsbourg nel suo ufficio in Rue de Verneuil, foto © Christian Simonpietri, Sygma Getty-images

Serge Gainsbourg, nato Lucien e morto Gainsbarre, figlio di ebrei ucraini e parigino per vocazione, è stato senza dubbio una delle maggiori figure della canzone francese della seconda metà del Novecento. Inizialmente destinato alla carriera di pittore, per sbarcare il lunario, come tanti, si esibisce come pianista nei bar, si lega a Boris Vian e Juliette Gréco, e nel frattempo scrive, per sé e per gli altri. Avido di letture e con un rapporto compulsivo con tutto quello che è espressione, sarà finalmente apprezzato e riconosciuto solo verso i quarant’anni, quando France Gall trionferà all’Eurovision con la sua Poupée de cire, poupée de son.
Il Centre national d’art et de culture, Centre Pompidou, di Parigi gli ha consacrato una retrospettiva, che, dato il successo, è stata prolungata fino al tre settembre 2023. L’esposizione, dal titolo Serge Gainsbourg, le mot exact, vuole indagare l’intimo rapporto tra la sua creazione musicale e quella scritta, dove il testo è senso e la musica contesto espressivo, come lo era agli albori della poesia e del racconto.
Infatti, per Gainsbourg, la canzone, “arte minore” come spesso ripeteva, non è che veicolo del messaggio poetico-letterario forgiato da letture disparate, confuse e sofferte, con mescolanze di epoche letterarie e contesti differenti. La libreria di Gainsbourg, di cui alcuni volumi sono in mostra, ne è un esempio: romanzi surrealisti accanto a monografie d’artisti medievali, opere di scrittori simbolisti e poeti maledetti, ma anche Nabokov e de Sade, quasi a voler porre se stesso come ideale continuatore e incarnazione di quella tensione tra “spleen et idéal” che lo porterà a spegnersi a sessant’anni, corroso dall’alcool e dalle sue sigarette. Rimbaudiano “poeta veggente”, Gainsbourg trovava nello scandalo continuo il suo personale épater la bourgeoise, solo modo per contrastare titanicamente una società dello spettacolo dove le canzonette e i motivetti avevano la meglio su testi nati con fatica prima dell’alba.

Serge Gainsbourg in studio, foto © Andrew Birkin

«Strano questo Gainsbarre», come ripeteva nella canzone Ecce homo, con evidenti lividi all’altezza dell’occhio, in cui celebra il suo alter ego autodistruttivo, «ebreo e dio», come ancora suggerisce nell’omonima creazione, addirittura un uomo dalla testa di cavolo, «metà ortaggio, metà uomo», in L’homme à la tête de chou, ispirato a una scultura di Claude Lalanne, che, con l’altro concept album Histoire de Melody Nelson, sono forse i suoi lavori migliori.

Shooting per la cover dell’album L’Homme À Tête De Chou di Serge Gainsbourg – casa di Gainsbourg

Interessante è il dualismo di Gainsbourg, il suo essere senza fissa forma e identità, esattamente come quando dovette nascondersi e utilizzare falsi documenti nella Parigi occupata dai nazisti; un’identità cangiante, la sua, fragile per questioni di sopravvivenza e, successivamente, alimentata dalla lettura di Maupassant, Wilde, Poe, Shelley, che nutriranno, per poi annientarlo, il suo dissidio interiore, simile a un albatro baudleriano, re dei cieli e goffo terrestre, dove i vizi onnipresenti e l’apparente superficialità e edonismo indicavano l’incapacità dello scendere a compromessi con un benessere di facciata, come quello della Parigi del trionfo della borghesia di fine Ottocento.

Manoscritto del testo del brano Baby pop , 1965 – casa di Gainsbourg
Dalla mostra Serge Gainsbourg le mot exact, foto © Herve Veronese. Bibliothèque du Centre Pompidou

Gainsbourg, nel suo studio al 5 bis di rue de Verneuil a Parigi, che aprirà al pubblico a fine settembre, di cui molti oggetti come bastoni, stilografiche e appunti sono esposti al Beaubourg, colleziona qualsiasi cosa, fotografie, oggetti esotici, riviste pop, oggetti d’arte, pubblicità, fumetti, perché, camaleontico, adatta e plasma la sua musica aprendola alle nuove sonorità e forme espressive fino a trasformare la “sacra” Marsigliese, con infinite polemiche, in versione reggae o magari scandalizzando i benpensanti con la sua celeberrima Je t’aime…moi non plus. Gainsbourg è un giocoliere della parola, come un post futurista, scrive la canzone Comic strip dove invita Brigitte Bardot a entrare nel suo fumetto immaginario con diverse onomatopee tipiche del genere, si cimenta in rime acrobatiche come in Comment te dire adieu, portata al successo da Françoise Hardy, o in sapienti allitterazioni come in La Javanaise.

Ufficio di Serge Gainsbourg, Rue de Verneuil, foto © Pierre Terrasson 1991

Il suo imperativo fu osare e creare, nutrito da quella parola exact frutto di tante letture che gli permetteranno di cogliere lo spirito del tempo di fine Trente Glorieuses e impegnarsi, anche se rifiuterà sempre l’autocelebrativo titolo di artista impegnato preferendo restare nella sua turris eburnea di dandy, per le grandi sfide dell’epoca come, ad esempio, la critica al nazionalismo con la già ricordata versione reggae della Marsigliese, con le ferite della guerra d’Algeria ancora non totalmente rimarginate, per la liberazione sessuale con Je t’aime…moi non plus o per la battaglia per i diritti degli omosessuali in piena epidemia di AIDS con la canzone Mon légionnaire.
Prese di posizione da intellettuale che ritorna finalmente al suo ruolo perché, come diceva Gainsbourg, «la provocazione e l’aggressione sono le dinamiche indispensabili per smuovere le cose» aggiungendo un certo compiacimento nello «stravolgere le convenzioni» perché un artista è «la penna rossa che scrive a margine del quaderno da scolaro dello show business». Quello, un mondo fatto di riviste patinate e di trasmissioni vuote di senso, dove la parola e il gesto d’artista diventano exact come un ready-made dal quale trapelano aneliti rivoluzionari. Questo è stato Serge Gainsbourg, un dio laico fumatore di sigarette Gitanes, un cinico per necessità, per sopravvivere in un mondo attento più allo scandalo e agli applausi preregistrati che alla bellezza delle metafore che valgono una vita.

 

LA MOSTRA

Serge Gainsbourg, le mot exact
Bibliothèque du Centre Pompidou
Dal 25 all’8 maggio 2023, prorogata fino al 3 settembre 2023