THE FABELMANS

Frame tratto da The Fabelmans, regia di Steven Spielberg (2022), 01 Distribution

Fine anno, tempo di classifiche. L’ultimo lavoro di Spielberg  è una presenza costante in tutte le hit parade dei migliori film del 2022, e per molti critici è addirittura il migliore. Per quanto queste graduatorie siano sempre opinabili, è evidente che la concordia dei giudizi non può lasciare dubbi sul fatto che ci si trovi di fronte ad un’opera significativa, degna di figurare ai primi posti di una filmografia, quella spielberghiana, già prodigiosamente densa di titoli memorabili.
Basato su vicende autobiografiche, il film è un mirabile riassunto di molte suggestioni stilistiche e tematiche del regista di Cincinnati, dall’amore per i fumetti, fonte di ispirazione almeno a partire dalla saga di Indiana Jones. Sul piano figurativo, ad esempio, è evidente come il lavoro del fido Janusz Kaminski, suo compagno di lavoro fin dai tempi di Jurassic Park, si ispira al mondo dei comics, sia nei colori sia nel taglio delle inquadrature. Per non parlare dei personaggi principali che vengono rappresentati come fossero usciti da un albo di Hergè, con addirittura il giovane Sam che sembra davvero un clone di Tintin – altro grande amore di Spielberg – con tanto di ricciolo sulla fronte.

Frame tratto da The Fabelmans, regia di Steven Spielberg (2022), 01 Distribution

Poi, ovviamente, c’è il cinema.  Un cinema accostato fin dall’inizio al mondo dei sogni, sogni meravigliosi che però possono anche diventare incubi. Un’ambivalenza che è la pasta di cui è fatto il mondo, sempre in bilico tra bellezza e orrore,  governabilità e caos. Ecco quindi che il piccolo Sam pian piano intuisce che per governare il mondo bisogna inventarlo, riprodurlo, costruirlo. E quando anche il gesto di riprendere la realtà si rivela caotico, arriva in soccorso la moviola, che dà senso e rivela ciò che l’occhio dell’uomo con la macchina da presa aveva mancato di cogliere, compresa la tresca della madre con l’amico di famiglia. Moviola che diventa anche luogo in cui rifugiarsi quando la confusione, famigliare in questo caso, diventa insopportabile. E così, a poco a poco, Sam si accorge del potere poetico del cinema, in senso letterale (da poiein, plasmare, dare forma, creare) e dello strano (perturbante, direbbe Freud) fenomeno del “vedersi” sullo schermo.
Sono due i momenti in cui, prima la madre e poi il bullo che lo perseguita a scuola, chi si (ri)vede nei film girati da Sam, si rende conto della distanza, breve ma decisiva, che esiste tra sé e la propria immagine riflessa sullo schermo. E, come accade quando si ascolta la propria voce registrata, rivedendosi ci si riconosce proprio a partire da questa piccola differenza. Sam quindi capisce che c’è della perfidia in questo dispositivo; perfidia in senso, ancora una volta, letterale, perché  l’immagine tradisce (si rivela cioè inaffidabile, non degna di fede) mentre rappresenta. Una perfidia che, soprattutto nell’episodio del bullo, attraversa lo sguardo del protagonista, eccitato e sorpreso per aver scoperto la potenza del mezzo cinematografico.

The Fabelmans, regia di Steven Spielberg (2022), 01 Distribution

Qua e là, nel film, compaiono altre costanti tematiche spielberghiane, come ad esempio la possibilità di risolvere i conflitti sviando il discorso su un altro piano. Lo fa la madre mentre Sam e suo padre stanno litigando furiosamente, annunciando la sua intenzione di rivolgersi finalmente a uno psicologo che l’aiuti ad affrontare le sue fragilità nervose. Una scena che ricalca quella di Salvate il soldato Ryan, quando Tom Hanks rivela alla sua squadra, nel mezzo di un conflitto ormai prossimo a deflagrare tragicamente, quale fosse  il suo mestiere da civile, ottenendo l’immediata sospensione delle ostilità. In fondo, è quello che fa il cinema, tuffandoci in un mondo sospeso tra la realtà delle emozioni che proviamo e la finzione che si srotola sullo schermo. È stato notato, giustamente, che Spielberg realizza la sua opera più direttamente autobiografica  a 76 anni, un po’ come il Bergman di Fanny e Alexander, girato anch’esso in tarda età. Sarà anche vero che da vecchi si ricorda meglio la propria infanzia di ciò che si è fatto il giorno prima, ma ciò non toglie che soltanto da una gestazione che duri tutta la vita, può scaturire una riflessione così profonda sulla difficile impresa di diventare ciò che si è.