ETHOS EPOS PATHOS

Allestimento dell’opera ETHOS EPOS PATHOS di SUOLOcollettivo, per il festival Fotografia Europea | Reggio Emilia 2025. Progetto arch. Taryn Ferrentino

ETHOS EPOS PATHOS. La successione verticale di lemmi affonda in una prospettiva spaziale che non viene immediatamente percepita dai visitatori nella sede dell’Ex-ACI di Reggio Emilia durante le giornate del XX Festival di Fotografia Europea. L’impatto del testo macro schiaccia lo spazio come in una grafica suprematista. Alcuni si fermano prima di varcare la soglia di moquette rossa, avvertendo un limite che non esiste. Qualcuno avanza un passo verso il profilo di montagne sotto alla scritta ETHOS. La striscia è troppo lunga per essere inclusa nel campo visivo, impossibile allontanarsene senza essere nuovamente fuori dalla soglia. Si è perciò obbligati a percorrere la visione camminando lungo i frame fotografici, animandoli in un cinema mentale. Dov’è? chiedono. Cosa importa, penso.

Allestimento dell’opera ETHOS EPOS PATHOS di SUOLOcollettivo, per il festival Fotografia Europea | Reggio Emilia 2025. Progetto arch. Taryn Ferrentino

Quando ho cominciato a dedicarmi alla curatela del lavoro fotografico ETHOS EPOS PATHOS per rispondere alla call di FOTOGRAFIA EUROPEA 2025 sul tema Avere vent’anni, mi aveva colpito la grandezza di un fenomeno. Numeri non luoghi. Osservavo i dati ISTAT relativi alle migrazioni dei residenti sul territorio italiano: 471 mila giovani espatriati nell’ultimo decennio, 652 mila trasferitisi dentro al territorio nazionale nell’ultimo anno (2023). La nostra specie migra da quando esiste, nulla di nuovo. Poi altri numeri, l’ultimo ventennio di migrazioni giovanili interne e per l’estero, che riportano una crescita costante fino al 2014, anno-soglia che inaugura una fase di incrementi maggiori. Non posso non notare che il decennio 2014-2024 è quello dei primi ventenni della cosiddetta Generazione Z, i nati fra il 1996 e il 2012. Nel 2014 la Gen Z diventava maggiorenne e ha cominciato a muoversi più delle altre. Soltanto una suggestione forse. La propongo come ipotesi di ricerca a SUOLOcollettivo, progetto artistico-speculativo con i fotografi Giulia Flavia Baczynski, Errico Baldini e Rossella Di Micco, di cui sono curatrice. Non si può ignorare una soglia, ci diciamo. Per di più il suolo è una soglia, etimologicamente e non solo, ma è un’altra storia. Anche i vent’anni lo sono, sul passaggio fra adolescenza e età adulta.
Ci chiediamo se si possa ancora parlare di rituali di passaggio e come.

Allestimento dell’opera ETHOS EPOS PATHOS di SUOLOcollettivo, per il festival Fotografia Europea | Reggio Emilia 2025. Progetto arch. Taryn Ferrentino

Victor Turner, in Antropologia della performance, elabora il concetto di liminalità. Nelle società tradizionali, il rituale del passaggio prevede l’esistenza di comunità, d’origine, di transizione, di atterraggio. La pratica del limite, liminale appunto, è una performance per rinsaldare i vincoli della comunità stessa. Ma cosa succede ora e qui, quando comunità è diventato un concetto imprendibile? Secondo Turner le società complesse producono fenomenologie liminoidi, dinamiche performative simili alle pratiche liminali senza esserlo, che possono avere una ricaduta collettiva ma restano sostanzialmente delle pratiche individuali. Liminale e liminoide convivono, come vita soggettiva e performance all’interno della metacomunità social, dove fra consapevolezza e comunicazione si scrivono gli immaginari generazionali.
Le figlie e i figli dei miei coetanei hanno vent’anni e sono già stati oppure sono attualmente lontani da casa. Figli della generazione precaria sembrano aver ereditato l’attitudine del mancino zoppo di Michel Serres: uno squilibrio favorevole all’avanzata che li rende maggiormente mobili. La motivazione sembra per tutte e tutti colonizzata da un desiderio di futuro, che fa del loro viaggio un pellegrinaggio compiuto nell’esperienza vissuta. Un’epica contemporanea del ritorno a se stessi. Il rituale del passaggio si compie forse in questa dimensione ontologica sfuggente e individuale? Con SUOLOcollettivo decidiamo ad ogni modo di raccontarlo, attraverso la fotografia. Immaginando i vent’anni dentro un’antropologia della speranza, una micropolitica del divenire articolata in tre atti: Ethos, Epos, Pathos.
Ne parlo qui in relazione all’allestimento, che riporta nei termini spaziali lo stesso tema.

Allestimento dell’opera ETHOS EPOS PATHOS di SUOLOcollettivo, per il festival Fotografia Europea | Reggio Emilia 2025. Progetto arch. Taryn Ferrentino

Torniamo allora al principio, al nastro fotografico disteso sotto alla parola ETHOS. Mentre ci si approssima alla successione di profili montani, che poco prima sembrava una silhouette nera priva di dettagli, si cominciano a vedere corpuscoli bianchi. Sembrano incisi nel paesaggio o grattati nella carta fotografica. L’autrice della sequenza è la fotografa Giulia Flavia Baczynski e l’ispirazione proviene da un brano di Vito Teti in Il senso dei luoghi (2004). «C’è un carattere insieme naturale e culturale, una sorta di gene, che caratterizza l’esistenza del corpo-paese: una specie di malattia, di patologia, che si chiama isolamento, chiusura, angustia degli spazi. (…) La salute e la vita del paese si basano su un equilibrio tra spinte diverse, tra la fuga e l’arroccamento». Nelle fotografie la finitezza della dimensione domestica è posta in dialettica con un fuori enormemente più grande, moltiplicato dalla concatenazione di frame. L’ethos popolare, in senso hegeliano, e il paesaggio, come dotazioni originarie conformano l’alfabeto percettivo che continuerà ad agire in background durante l’esistenza, negli spostamenti e nelle localizzazioni successive, orientando i sensi. Anzi disorientandoli. Quando si migra, interagire con luoghi nuovi sarà sempre spaesante, letteralmente, nella misura in cui il termine paese, presente e sottratto assieme, provoca un disorientamento. Cos’è infatti lo spaesamento se non un turbamento provocato dall’estraneo che scardina il familiare o viceversa dal domestico che si insinua nell’ignoto?

ETHOS EPOS PATHOS, SUOLOcollettivo, 2025

 

Al termine della sequenza alcuni visitatori sono già spaesati, tornano indietro o si guardano attorno. Nel progettare l’allestimento ho ricercato la forma dello smarrimento, perché un rito di passaggio comincia sempre con una defamiliarizzazione. Bisogna perdersi per potersi ritrovare. Qualcuno si perde, infatti, anche se lo spazio utilizzato è di soli 25 mq. Il percorso è ingannevole come un labirinto. Le prospettive sembrano chiuse e bisogna approssimarsi per capire dove andare. Abbandonarsi all’incertezza di non trovare nulla.

ETHOS EPOS PATHOS, SUOLOcollettivo, 2025

Per chi prosegue, l’EPOS si articola spazialmente come una narrazione. La disposizione delle fotografie celebra la dispersione e soltanto quando si è vicini a un’immagine si può vedere quella successiva, volgendo lo sguardo ogni volta, da un lato, dall’altro, camminando, serpeggiando. Qui c’è il cuore del lavoro collettivo: i corpi ritratti da Rossella Di Micco sono ancoraggi per le cartografie disegnate da Giulia Flavia Baczynski che completo immaginando toponimi del disorientamento.
Epica palpabile o corpo-epos? Anche nella Carte du Tendre di Madame de Scudéry i turbamenti emotivi generavano luoghi adoperati per mappare il corpo. Nel viaggio che attorno ai vent’anni spinge a lasciare un sé generato da altri per cercare un sé fra gli altri l’estraneo scardina il familiare e viene incorporato negli atteggiamenti, nel linguaggio, nei gusti, addomesticando il territorio vivo dell’erranza, l’ultimo ignoto, il corpo. Scrive Laura Pugno: «Cosa sappiamo col corpo? Che è il primo luogo del selvaggio. L’irriducibile». (In territorio Selvaggio, 2018).

ETHOS EPOS PATHOS, SUOLOcollettivo, 2025

PATHOS in ultimo. La carica emotiva che pervade ogni migrazione è sempre alimentata da una doppia nostalgia, passata e futura. Questi sentimenti in tensione reclamano una conciliazione. Lo spaesamento deve condurre a un appaesamento. A un certo punto dell’erranza si sente infatti il bisogno di “fare casa”, di trovare un luogo a cui ormeggiare la propria dispersione. Nelle fotografie di Errico Baldini alcuni oggetti emergono da un fondo imperscrutabile. Come un corredo hanno seguito il viaggio. Ciascuno è un oggetto-casa che come la madeleine di Proust ricongiunge a un grumo di memorie. Un oggetto capace di agire come una metonimia, «un luogo minore», scrive Matteo Meschiari in La fabbrica dei mondi (2024), «che, come un pegno o un talismano, permette di portare con sé ciò che si è lasciato indietro».

ETHOS EPOS PATHOS, SUOLOcollettivo, 2025

Perciò queste ultime immagini sono stampate su un supporto trasparente che le sottrae alla materialità e le consegna all’evanescenza del ricordo. Quando vi si passa in mezzo oscillano fra la fissità di nature morte e la vitalità dell’immaginazione.

Allestimento dell’opera ETHOS EPOS PATHOS di SUOLOcollettivo, per il festival Fotografia Europea | Reggio Emilia 2025. Progetto arch. Taryn Ferrentino

Durante la produzione del lavoro ho conosciuto un ventenne di grande talento, Giorgiomaria Cornelio e la sua opera. Mi piace pensare che ETHOS EPOS PATHOS possa raccontare anche il viaggio dissipativo della specie storta. Chiudo con un estratto da Congedo (in «La specie storta», 2023).

«Tempo di ripartire. Coloro che dovevano, hanno parlato. Qui non possiamo più restare. Torniamo nel dirocco, tra terraglie malconce, tra pozzi turati.

Per la fine del viaggio avremo forse dimenticato questa nuova consegna. Tutto prima o poi termina nello sfranamento, e l’urna votiva della memoria è una merce che nel pericolo si getta in mare».

P.S. Il titolo dell’opera evoca quello dell’album dei CCCP, Etica Epica Etnica Pathos, con cui non condivide null’altro pur condividendo tutto. Non è quindi un caso che la citazione d’apertura del testo presente in mostra «Non temere il proprio tempo è un problema di spazio», sia tratta da Linea gotica dei CSI, formazione successiva dello stesso gruppo di musicisti. Non so se sia invece un caso che Linea gotica è uscito proprio nel 1996, anno che per convenzione segna la nascita della Gen Z.

LA MOSTRA

ETHOS / EPOS / PATHOS
SUOLOcollettivo
Ex ACI, via Secchi 9, Reggio Emilia
Circuito Off – Festival Fotografia Europea 2025