L’idea di una Divina Commedia nata dal crocevia di diverse influenze culturali tra filosofia cristiana e greco-araba, al pari di altre opere dell’Alighieri, non è tesi né recente né innovativa, malgrado il grande dibattito che suscita, ed ha suscitato, l’ipotesi di una non originalità del pensiero dantesco. Effettivamente, cosa ormai nota, a partire dagli studi di inizio Novecento del religioso Miguel Asín Palacios1 si tracciano alcune linee di affinità tra il pensiero del Sommo poeta e quello arabo musulmano che, come scrive Carlo Ossola nell’introduzione alla traduzione italiana del testo di Palacios, presentano un «mirabile, e inesausto, repertorio di fonti, paralleli, analogie, somiglianze» tra i regni danteschi e i regni ultraterreni descritti in opere letterarie e religiose musulmane. Sotto quest’ottica, le opere dell’Alighieri sembrano essere il prodotto di un processo evolutivo che affonda le proprie radici in quell’incrocio di culture che fu il Mediterraneo nei secoli del Medioevo dove, malgrado le opposizioni essenzialmente di natura religiosa, era fervente lo scambio commerciale ed intellettuale tra i due occidenti, quello cristiano che aveva il suo centro nell’Impero e nella penisola italica e quello greco-arabo con sede a Toledo, riconquistata nel 1085. Sempre nella città castigliana, Alfonso X, detto il Saggio, fu iniziatore, al pari di quella siciliana promossa da Federico II, di una intensa scuola di traduttori che si impegnarono in una appassionata attività di restituzione dall’arabo (e dall’ebraico) al latino che, come ricorda Massimo Campanini, «consentirono al mondo Occidentale di attingere ai tesori della sapienza ellenica e di metabolizzarli anche attraverso il filtro degli “arabi”»2 .
A Toledo si traduceva in castigliano, francese, latino, soprattutto opere di scienza naturale, politica e filosofia che porteranno, nel XIII secolo, alla grande stagione delle traduzioni dall’arabo in latino del corpus aristotelico, filosofo di cui, prima di quella data, si conoscevano in Occidente solo le opere legate alla logica. Ai fini del nostro discorso, tra tutti gli intellettuali che sono stati al servizio di Alfonso X, dobbiamo ricordarne essenzialmente due che potrebbero aver influenzato, per via indiretta e diretta, il pensiero di Dante. Il primo, Bonaventura da Siena, notaio alla corte del sovrano di Castiglia, e quel Brunetto Latini, maestro di Dante, che soggiornò lungamente a Oviedo, amico personale del re, e che conobbe il già citato Bonaventura. Proprio il senese fu anche traduttore di un anonimo libro arabo dell’VIII secolo intitolato Liber Scalae Maometti (Libro della scala di Maometto) che presenta sorprendenti somiglianze col sommo poema dantesco, già ricordate nell’opera del Palacios e approfondite dai successivi lavori di Maria Corti. Certo, le affinità tra il Liber Scalae e la Divina Commedia non forniscono una prova assoluta dell’influenza del primo sul secondo, ma di sicuro è interessante ricordarle anche perché gli stretti contatti tra i toscani, ghibellini come Bonaventura o guelfi come Latini, e i centri culturali greco-arabi molto probabilmente permisero a Dante di entrare in possesso di una copia del libro in questione. Le somiglianze tra i due testi sono assai evidenti. In entrambi i casi, assistiamo a un viaggio ultraterreno, quello di Maometto da La Mecca a Gerusalemme per poi arrivare al trono di Dio e quello di Dante dalla selva oscura alla visione divina. Come ricorda Maurizio Capone in un articolo su Maria Corti3, anche Maometto, come Dante, parla in prima persona e, all’inizio del viaggio, si trova in uno stato di profondo sonno, come si sa, in Dante legato a una condizione esistenziale peccaminosa. Entrambi sono aiutati da guide spirituali, Maometto dall’Arcangelo Gabriele e Dante da, in un primo tempo, Virgilio. Anche il Profeta islamico, nel suo viaggio verso Gerusalemme, viene ostacolato da tre voci, metafora delle tentazioni e facilmente assimilabili alle tre fiere dantesche che, nel I Canto dell’Inferno, impediscono al fiorentino di salire il “dilettoso monte”.
Anche il Paradiso terrestre presenta dei tratti comuni con quello dantesco, in entrambi i casi sono presenti due fiumi, nell’uno i beati bevono, nell’altro si immergono. Senza troppa fatica, questi due fiumi possono essere paragonati ai danteschi Lete e Eunoè. Non è tutto, l’accesso al Paradiso, in entrambe le opere, prevede l’abbandono delle vecchie guide, per Dante, Virgilio per Beatrice, per Maometto, l’Arcangelo Gabriele che deve cedere il passo a Ridwan, angelo guardiano del Paradiso musulmano. Tuttavia, i tratti più interessanti di questo parallelo si trovano nella struttura dei due Inferno. Sebbene Maometto, a differenza di Dante, non lo attraversi, ma lo guardi dall’alto, come afferma Campanini, «la descrizione della Gehenna4 è molto minuziosa e in molti aspetti assai simile a quella della Commedia», infatti, continua l’autore, «vi sono mari di liquidi infetti e bevande fetide, città infuocate non dissimili da quelle descritte da Dante; donne e uomini […] sottoposti a pene dolorosissime e proporzionate»5 che fanno pensare subito al contrappasso dantesco. Effettivamente, l’esplicazione della pena del contrappasso in Dante sembra ricalcare quella islamica quando nel Libro della Scala, parlando dei seminatori di discordia, l’autore arabo afferma: «come il seminatore di discordia usava la lingua […] ecco che qui viene punito col taglio della lingua». Al di là di queste somiglianze che, si ricorda, non provano nulla con certezza assoluta, per una delle massime studiose della questione, Maria Corti, un indizio importante dell’influenza su Dante si ha quando il fiorentino introduce la città di Dite. Infatti, afferma la studiosa, «Dante mette un alto inferno, poi mette la città di Dite, poi un basso inferno»6 ma, continua, «il basso inferno viene dagli arabi, la città di Dite pure». Infatti «essa è descritta da Dante allo stesso modo di come, nel Libro dalla Scala, è descritta l’abitatio diaboli»7 ovvero con case infuocate da un fuoco perenne, con fortificazioni e torri, chiamate poi da Dante, con parola araba meschite, con diavoli che girano intorno alle porte e un ingresso principale dal quale si scende al basso inferno. Troppo lungo sarebbe, in questa sede, seguendo gli studi della Corti e di altri autori già citati, sviluppare maggiormente la questione. A guisa di conclusione, ci permettiamo di citare un altro elemento di riflessione, sempre introdotto dalla Corti. Ci riferiamo alla vexata quaestio dell’Ulisse dantesco che, come è noto, fu punito per aver superato, con la compagna picciola, lo stretto di Gibilterra, limite geografico imposto all’uomo. Tuttavia, stando all’interpretazione della docente, l’interdizione del superamento di Gibilterra non ha nulla di greco-romano, epoca in cui il passaggio al di là delle colonne d’Ercole era cosa normale e comunemente praticata, ma viene imposto successivamente dalla civiltà araba per meglio controllare le rotte mediterranee. Anzi, altro che colonne d’Ercole, nelle opere di alcuni geografi arabi e ispanici si descrive una statua di quasi tre metri che intimava il non andar oltre, statua raffigurante… Maometto!
Come ricorda Massimo Campanini, il mondo medievale, e Dante da spirito enciclopedico qual era ne fu massimo esempio, «era un mondo sincretico, tra platonismo e aristotelismo, tra pensiero cristiano-latino e arabo-islamico che deve indurre a considerare la cultura anche di quell’epoca […] come una cultura plurale, poiché l’ecumene mediterranea legava Baghdad e Oxford o Parigi attraverso l’Egitto, la Spagna e la Sicilia»8. Un mondo, insomma, globalizzato ieri come oggi dalle rive del Mediterraneo, e, come Dante dimostra, la koiné culturale, ieri come oggi, partorisce opere eterne.
Le fotografie in corredo all’articolo sono alcune delle opere selezionate per il progetto Cantica21, promosso dal MAECI e MiC, sezione speciale dedicata ai settecento anni dalla morte di Dante Alighieri, e sono state esposte all’Istituto di cultura di Shanghai nel 2021-2022 e all’Istituto di cultura di Parigi nel 2022.
NOTE
1 Miguel Asin Palacios, Dante e l’Islam, Luni editrice, Milano, 2015
2 Massimo Campani, Dante e L’Islam, Edizioni Studium, Roma, 2021
3 Maurizio Capone, Maria Corti, «Dante e la cultura islamica» in Sguardi su Dante da Oriente, Quaderni di studio Indo-Mediterranei, IX, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2016
4 Nella religione islamica, luogo di dannazione per i peccatori (N.d.A.)
5 Massimo Campanini, Op. cit.
6 Intervista a cura della redazione di Rai Educational trasmessa il 20 aprile 2000. Il testo integrale è consultabile su Critica Italiana
7 Id.
8 Massimo Campanini, Op. cit.