Natura e caducità dell’esistenza

© Cecilia Del Gatto, Umi Hotaru, courtesy dell’artista

Nella mia ricerca mi pongo l’obbiettivo di unire la visione artistica a una realizzazione precisa e meticolosa. Mi interessa cogliere e osservare aspetti che restano invisibili allo sguardo distratto dei più, portare alla luce ciò che spesso sfugge all’attenzione comune e condividerlo attraverso l’arte, utilizzando spesso il mezzo fotografico.
Nel 2021, durante una camminata solitaria sull’Isola del Giglio, ho intrapreso un viaggio che mi ha condotta al cimitero gigliese, un luogo che ha profondamente catturato la mia attenzione e il mio spirito. Sono rimasta sbalordita dallo stato di alcune fotografie sulle lapidi, ormai deteriorate a causa dell’incessante azione dell’aria salina. I volti dei defunti erano diventati irriconoscibili. L’obiettivo della macchina fotografica analogica ha catturato quel preciso istante, svelando un ricordo trasformato, una nuova immagine che rappresentava qualcosa di completamente diverso rispetto a ciò che in origine avrebbe dovuto essere l’identità conservata nella memoria collettiva. La forza inarrestabile della natura si era riappropriata di ciò che aveva generato, cancellando l’aspirazione dell’uomo all’eternità attraverso il ricordo.
Sette salme di sale nasce dalla decontestualizzazione di queste immagini. Realizzate in grandi dimensioni, evocano i delicati contorni di un volto umano, senza svelarne i tratti distintivi, ma piuttosto evidenziando la grana della corrosione salina e il progressivo deterioramento della fotografia nel corso del tempo.

© Cecilia Del Gatto, Sette salme di sale, courtesy dell’artista

La mia attenzione è spesso catturata da una storia o da un soggetto, ma il mio interesse va oltre. Ciò che cerco è cogliere la complessa interazione con il tempo.
Anche in Emilio, opera del 2020, il focus è sulle mura della casa di un individuo, chiamato Emilio, che per oltre cinquant’anni ha scelto di condividere con il mondo gli eventi della sua vita scrivendoli direttamente sui mattoni esterni della sua abitazione, la cui stratificazione ha contribuito in modo significativo alla memoria collettiva della sua cittadina.
Un occhio attento e straniato, ingenuo e puro, si rivolge a una realtà che scorre apparentemente uguale a se stessa nel lento fluire della piccola provincia, cogliendone il divenire e la sua traccia indelebile per poi riconsegnarlo ai posteri come narratore silenzioso.
Sono rimasta affascinata da questa casa con la facciata coperta quasi interamente da scritte a matita, frasi delicate e straordinarie su temi legati al meteo, alla storia e, soprattutto, a eventi piccoli e quotidiani che erano fondamentali per Emilio. Questa scoperta ha ispirato il mio progetto. Ho iniziato analizzando attentamente le scritte e le date, il che mi ha portato a conoscere il proprietario che aveva lasciato la sua residenza originale per trasferirsi nella casa coniugale. Nonostante il trasloco, Emilio aveva continuato la sua consuetudine di scrivere su quelle pareti. Durante le nostre conversazioni, ho scoperto ulteriori dettagli della vita di quest’uomo, elementi che ho ritenuto fondamentali da includere insieme alle storie dietro quelle scritte murali. Purtroppo Emilio ci ha lasciato poche settimane prima della conclusione del progetto, ma ho avuto l’onore di presentare il mio lavoro ai suoi familiari, che hanno dimostrato grande apprezzamento e gratitudine.

Cecilia Del Gatto, Emilio , 2020, stampa inkjet 160×240 cm, courtesy dell’artista

L’opera è composta da tre elementi: una grande stampa di 160 x 240 cm, una stampa ai sali d’argento raffigurante la fotografia ritrovata in un giornale del 1974 dove sono ritratti Emilio e la sua volpe trovata morta e infine un testo battuto a macchina su carta in cui racconto alcuni punti della vita di Emilio più rilevanti per l’opera.

Nel testo meccanografico si legge:

Nel 1954 E. annotò su un mattone della facciata della propria
abitazione un evento rilevante per la sua cittadina.
Fonte di ispirazione furono le scritte, in dialetto, apposte
sui muri delle case di un paesino durante la seconda guerra
mondiale, aventi lo scopo di diffondere pettegolezzi locali.
Usò il lapis, generalmente utilizzato dai muratori.
Da quel momento continuò a conservare la memoria
di qualsiasi accadimento attirasse la sua attenzione o colpisse
la sua sensibilità. Appuntò eventi meteorologici, fatti legati
alla campagna circostante e avvenimenti straordinari,
dalle lucciole nell’orto allo sbarco sulla Luna.
Evitò i mattoni più esposti alle intemperie.
Il trasferimento a Milano per lavoro, durato cinque anni, non
interruppe la sua attività; prese nota di tutto ciò che
riteneva utile per poi trascriverlo sui mattoni una volta
tornato a casa. Con il passare dei decenni esaurì lo spazio
a disposizione sulle mura, quindi identificò nuovi supporti in
calendari cartacei.
Fu protagonista di una storia singolare, riportata su una
rivista di caccia del 1974.
Aveva in casa un cucciolo di volpe, Sascia, da lui svezzato e
addomesticato, tanto da portarlo con sé al guinzaglio.
Il 16 Ottobre 1972, allalba, un operaio addetto alla costruzione
del cavalcavia dell’autostrada attigua alla sua dimora, passando
in auto, vide la volpe seduta sull’uscio.
Prese la mira e sparò, uccidendola.
Ancora oggi le motivazioni restano ignote ed inspiegabili.

© Cecilia Del Gatto, Emilio , 2020, stampa ai sali d’argento 30,5 x 40,6 cm
Testo battuto a macchina su carta naturale 100 gr 21×29,7 cm, courtesy dell’artista

Allo stesso modo nel progetto Umi hotaru, del 2021, mi sono fatta personalmente carico di affidare la memoria di quanto tenuto nascosto e mai svelato.
Sono molte le sere primaverili in cui si può osservare lo spettacolo delle lucciole, quegli insetti agili che dipingono il cielo notturno con le loro sottili scie luminose. Forse qualcuno ha trovato il tempo di analizzare queste creature in volo e scrutare da vicino la piccola luce che arde all’estremità del loro addome. Qualche fortunato avrà forse avuto modo di osservare le scintillanti scie generate dal remo che s’inabissa nel mare o la funzione di quelle luci misteriose nel complesso svolgersi della vita marina.
Dopo una ricerca durata molto tempo, partendo dalla fascinazione per questi fenomeni bioluminescenti e dal desiderio di restituire centralità a luci naturali che spesso sono sovrastate da quelle artificiali e artificiose, ho dato concretezza alla possibilità di utilizzare la luce prodotta da piccoli organismi viventi per sviluppare immagini su fogli fotosensibili in camera oscura. Gli umi hotaru sono piccoli crostacei bioluminescenti di tre millimetri di cui sono popolate le coste del Giappone, con la particolarità di poter brillare di nuovo dopo essere stati essiccati.
Consultando archivi, articoli di giornale, testimonianze orali, sono venuta a conoscenza del fatto che questa proprietà delle lucciole marine era stata sfruttata dall’esercito nipponico durante la Seconda Guerra Mondiale. Numerosi esemplari erano stati raccolti, essiccati e portati al fronte. I soldati venivano dotati di fialette contenenti polvere di umi hotaru essiccati, che all’occorrenza veniva riattivata formando sul palmo della mano una mistura di polvere e saliva. La fredda luce blu era abbastanza brillante da consentire ai militari di leggere i dispacci, ma troppo fioca per rivelare la posizione ai nemici vicini. La visualizzazione mentale di un soldato che durante le attività di guerra è appartato e chino sul proprio palmo illuminato dalla bioluminescenza di piccolissimi crostacei è stata molto suggestiva. Perciò ho importato dal Giappone una discreta quantità di lucciole marine essiccate e una volta entrata in possesso di una epistola originale del 1944, scritta a mano in giapponese antico indirizzata ad un militare al fronte, in camera oscura ho impressionato un foglio fotosensibile esclusivamente alla luce bioluminescente della polvere riattivata. L’opera finale si compone di una sequenza corrispondente alle facciate della missiva, di quattro stampe chimiche di piccolo formato e di una installazione video in cui l’oscurità viene interrotta dal bagliore luminescente delle lucciole marine che delineano il contorno di una mano.
Ho cercato di ricostruire in camera oscura ciò che avveniva segretamente nel campo di battaglia, una sfaccettatura più poetica e delicata rispetto agli eventi brutali e cruenti che sono stati i veri protagonisti della Seconda Guerra Mondiale.
Nelle mostre più recenti ho scelto di condividere con il pubblico anche gli originali materiali di archivio e le diverse prove di stampa che hanno contribuito al processo di creazione delle opere finali, materiale che, insieme a tutta la ricerca storica, inserirò nel libro dedicato a Umi hotaru” a cui sto lavorando.

© Cecilia Del Gatto, Umi hotaru , 2021, installation view presso Casa degli artisti, courtesy dell’artista

L’opportunità di partecipare alla residenza presso la Casa degli artisti a Milano, ottenuta dopo aver vinto il Premio Nocivelli, ha rappresentato per me un prezioso momento di riflessione e approfondimento. Durante questo periodo ho affinato la mia capacità di osservare e analizzare fenomeni e eventi straordinari, che, quando decontestualizzati, diventano una testimonianza potente dei temi fondamentali della vita. Mi sono concentrata sulla caducità dell’esistenza, la forza implacabile della natura che reclama il mondo antropico, il profondo desiderio umano di lasciare un’impronta indelebile sulla storia e, non da ultimo, ho dedicato particolare attenzione alla materia fotografica stessa. Ho esaminato la sua consistenza, la tecnica e il modo in cui la fotografia può trasmettere le emozioni e le storie nascoste dietro ogni scatto. Questi ambiti di ricerca si sono rivelati essenziali per comprendere il particolare poiché spesso è proprio nei dettagli che risiede l’universalità delle esperienze umane.

Installation view dell’Open studio di Cecilia Del Gatto presso Casa degli artisti, foto di Antonio Maniscalco
Cecilia Del Gatto, Sette salme di sale , 2023, installation view presso Casa degli Artisti, courtesy dell’artista

 

Il sito di Cecilia Del Gatto