Di intuizione in intuizione, di passo in passo, di curiosità in curiosità, mi sono ritrovata un sabato dello scorso maggio con la grazia di una rara serata primaverile nel giardino di una casa a Reggio Emilia, ospite di Taryn Ferrentino, per l’ultimo incontro del ciclo Canopee da lei ideato. Il titolo: paesaggificarsi. Un gruppo ristretto di persone, una trentina o poco più, (r)accolte dalla padrona di casa ad ascoltare prima i racconti e l’ecobiografia di Elisa Veronesi e del suo Atlante Appennino: «in ascolto, tra osservazione e rimemorazione, l’ecobiografia scrive (graphein) e narra l’interazione tra storie di vita (bios) e ambiente (oikos), mostrando i legami inscindibili tra noi stessi e il mondo». Poi la voce narrante di Pierluigi Tedeschi e i suoni di Giulio Vetrone e Luciano Bosi, APA (Atlante Poetico Appenninico) che attraversano le scritture dell’Appennino tosco-emiliano.
Un titolo in forma verbale, paesaggificarsi, «inteso come pratica, come processo per divenire consapevoli delle connessioni fra esseri umani e altri esseri, animali, vegetali, minerali», dice Ferrentino, architetta con una spiccata capacità pratica progettuale e curatrice, una creativa insomma. Titoli declinati come azioni per restituire la dinamica dell’acquisizione del sapere, a cominciare da quel con-fabulare che è stato il primo degli incontri narrativo-visuali e ha dato il via a Canopee. Si parte dunque dalla necessità di raccontare le cose e da come attraverso la narrazione e l’immaginazione si possano costruire mondi diversi. La mente corre inevitabilmente a Donna Haraway e il mio filo intreccia poi Earthbound (ovvero Le storie delle Camille) spettacolo di Marta Cuscunà ispirato a Staying with the troubles saggio di eco-femminismo che include storie di fantascienza della filosofa americana e alla consapevolezza che nessuna specie agisce da sola, nemmeno quella umana.
Un balzo indietro al giorno prima e sono al telefono con Giulia Flavia Baczynski. Architetta, artista, fotografa nel tempo diventata un’amica. Ci vediamo sempre in posti improbabili, abbiamo forse le stesse antenne, seguiamo le stesse onde, chissà, fatto sta che ci ritroviamo a cadenza annuale o biennale, in occasioni che ci vedono entrambe coinvolte. L’ultima volta a Sestri Levante: mi piace ricordarlo perché è stato un bel momento di intrecci generativi. Entrambe, Giulia Flavia con una delle sue opere, io insieme alla creatività dell’illustratrice Maddalena Olivi, grazie al coinvolgimento di Progetto Vicinanze (l’idea di condivisione di comuni intenti e di pensiero libero di Chiara Arturo e Cristina Cusani) eravamo parte di Correnti Festival organizzato da Orianna Fregosi, altra libera pensatrice che porta l’arte nelle sue diverse modalità espressive, tra cui il teatro, fuori dai luoghi istituzionali e incontro alle persone.
Dico tutto questo perché gli intrecci in questa storia sono importanti. Sono quelli di cui parla Donna Haraway, il cui pensiero nutre e lega tutte le persone che ho nominato fin qui e quelle che arriveranno in seguito, che ha aperto in noi nuovi orizzonti immaginativi speculativi e di linguaggio, e ci invita a non utilizzarne uno usurato perché il nostro linguaggio forma il pensiero. Ci esorta quindi a pensare diversamente, a con-fabulare.
Ho sentito Giulia Flavia Baczynski perché mi ero imbattuta nella notizia del riconoscimento del Premio Max Spreafico 2024 a Cosmografia opera delle quattro fotografe, tra cui lei, e del fotografo che compongono SUOLOcollettivo, ideato e curato da Taryn Ferrentino.
Ogni cosa è collegata, appunto.
Riparto allora da qui, da Cosmografia, e dall’intersecazione di letteratura e di immagini che ha portato alla nascita del progetto che mi ha attirato forse anche perché è la messa in atto del (mio) procedere come photo editor. Le immagini sono medium, strumento per attraversare porte ed entrare in luoghi altri, per fare un passo laterale e percorrere strade meno battute. Sono variazioni tematiche all’interno dello stesso solco, elementi fortemente connessi, suggestioni nate dalle letture. Cosmografia è un lavoro borderline tra letteratura e immaginario, tra queste due forme di pensiero diverse che si alimentano a vicenda. È un lavoro d’insieme, dove un’artista si ibrida nell’altro, è una mappatura generale che attinge a tutti i diversi immaginari di ogni autrice e autore. «La cosa più interessante è stato perdere il proprio ego per entrare in una dimensione corale, il pensare la fotografia in modo diverso rispetto al panorama fotografico attuale così legato all’ego e andare alla ricerca di campi di interesse differenti» mi dice Giulia Flavia Baczynski e il pensiero va a Lynn Margulis e alla sua teoria evoluzionistica basata sulla cooperazione tra gli esseri viventi e alla sym-poiesis, letteralmente “costruire-insieme” di Haraway.
«Nel lungo processo che ha portato a Cosmografia non si aveva mai una sensazione unica e univoca ma si è lavorato su immagini ambigue, alla ricerca di connessioni personali, nel desiderio di entrare nell’immaginario dell’altro. Eravamo ingaggiati a essere parte attiva, a procedere per analogie o richiami (deserto-volpe-luna) per creare una costellazione di immagini che nate spontaneamente diventavano significative. Le visioni si intersecano, sposti l’attenzione su qualcosa che non ti aveva mai colpito prima, esci da te stesso senza dimenticarti, portando il tuo bagaglio per creare qualcosa di nuovo». Il riconoscimento di immagini seminali, generative, un filo da seguire per generazioni successive. Opere e oggetti che hanno rimandi formali e concettuali. Atlas Mnemosyne, Abi Warburg. Ogni cosa è collegata.
Quello che Taryn Ferrentino ha fatto con SUOLOcollettivo e con Canopee trova origine nel suo desiderio di condividere percorsi formativi su basi comuni, così da poter parlare con persone che abbiano uno stesso vocabolario necessario alla possibilità di approfondimento, di complessità e di elaborazione di un pensiero critico. Anche per questo con il progetto Le Officine – spazio dedicato Taryn apre la sua casa a eventi pubblici. Se in Canopee era un ospite teorico narrativo accanto a una parte artistica musicale a presentarsi volta per volta nei sei incontri che si sono tenuti negli spazi di casa sua, in SUOLOcollettivo sono persone che si esprimono con il linguaggio fotografico, spinte da un sentire quasi fisico, da una necessità che porta ad affrontare i temi in modo molto viscerale a essere condotte in un percorso consapevole.
La tematica è stata la stessa, indagare il pensiero critico rispetto alle ecologie e al rapporto con la terra: di questa siamo parte e a questa ci dobbiamo relazionare non in modo oppositivo o divisivo ma partecipe. Ecco allora Matteo Meschiari, protagonista del secondo incontro di Canopee intitolato immaginare, e il suo paradigma della territà: il Cosmo che prende coscienza di sé attraverso l’immaginazione di Homo sapiens. Si interroga Meschiari «in che modo l’immaginazione può salvarci concretamente dal collasso ambientale? Quali pratiche possiamo escogitare per riaccendere nell’uomo un immaginario atrofizzato? Che ruolo hanno gli scrittori e gli artisti? E la gente?»
Le due ricerche di Taryn Ferrentino si intrecciano: una è la declinazione più applicativa e visuale dell’altra che è più teorica, sono due canali di espressione di un medesimo sentire. Per dare seguito alle indagini germinate da Canopee, ha continuato a pensare facendo e producendo legami con la costituzione di SUOLOcollettivo e ha invitato Giulia Flavia Baczynski, Errico Baldini, Rossella Di Micco, Iara Di Stefano e Arianna Lerussi ad abbandonare il loro flusso individuale per parlare non più di se stessi ma della Terra.
Li ha così invitati a immaginare di perdersi in un bosco, ad abbandonare riferimenti certi, anche i percorsi artistici personali e le ricerche individuali, e a provare a seguire delle tracce fisiche e immaginarie, innescando un dialogo con altre specie animali e vegetali, attivando uno scambio culturale con altri elementi. Sono stati incontri settimanali da gennaio ad aprile 2024 in cui in seguito alla proposta di libri o di estratti di testi – e agli incontri di Canopee – venivano condivise immagini che da questi trovavano suggestione o che ne erano rappresentazione. La teoria si declina così attraverso l’azione. «L’incrocio tra letteratura e immagine è la vera ricerca, il ragionamento e il pensiero critico sono fondamentali per crescere come esseri umani e come artisti. Le immagini diventano politica senza cadere nella distopia» dice Giulia Flavia Baczynski. Torna ancora il pensiero di Donna Haraway sulle alleanze tra essere umano e natura che attraverso il racconto sconfiggono il cinismo e la rassegnazione del pensiero ecologico contemporaneo. «L’immaginario permette all’uomo di sopravvivere e sa portarci verso nuove possibilità e il primo strumento che ci avvicina a questa intenzione è la curiosità. È stato come entrare nella tana del Bianconiglio» prosegue Baczynski.
Si sono costruite alleanze e a me piace pensare che i battiti dei cuori del Collettivo andassero all’unisono. «Dal secondo incontro – dice Taryn Ferrentino – il flusso è divenuto sempre più d’insieme e ha permesso agli artisti di ibridarsi nel tentativo di pensare collettivamente la Terra».
La fotografia ripropone così a livello visivo le connessioni di pensiero che si sono venute a creare durante gli incontri e le immagini, con la loro ambiguità, non impongono allo spettatore una visione unica e univoca ma permettono l’ingresso nell’immaginario degli artisti e l’attivazione di connessioni personali che conducono a nuove creazioni. Il pensare affabulante conduce quindi a un rapporto con il mondo che, dimentico della relazione prettamente razionale con esso, si trasforma in un’esperienza di appartenenza e la narrazione procede per elementi a cui ognuno è libero di dare il proprio ordine e senso. Sono fotografie, video, suoni, assemblaggi organici, resti e concrezioni minerali, uno accanto all’altro insieme alle opere in vitro di Alfonsina Sica e ai disegni di Marco Sergiampietri, su un grande tavolo isola attorno a cui navigare con i nostri immaginari, tra girasoli e altre nature morte già presenti nello studio del tatuatore che, nell’accogliere il progetto, consente la nascita di nuovi intrecci.
La mia Cosmografia: un frammento di osso animale che si unisce alla fotografia di un legno a formare un paio di ali, un pezzo di alveare e la fotografia delle lamelle di un fungo che mi ricordano alcune formazioni marine che custodisco in casa, un occhio in un cratere e un lupo che guarda alla luna, un legno raccolto lungo un fiume che muta in un palco di cervo.
«La realtà non è indipendente dall’osservazione. L’osservatore non è un elemento distaccato del sistema» si legge nel libro che ha come sottotitolo Pauli, Jung, la fisica quantistica, la sincronicità, l’amore e tutto il resto scritto da Gabriella Greison.
Il titolo del libro è Ogni cosa è collegata (Mondadori, 2023).
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