Basilico nelle città

Gabriele Basilico, Tel Aviv, 2006 Foto di Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico

Nell’immaginario ormai divenuto collettivo che circonda la figura di Gabriele Basilico, il fotografo non può essere scisso dall’ambiente della città, qualunque essa sia. L’humus di Basilico lo troviamo nelle giungle di cemento e asfalto, macera nel terreno fino a spuntare in una nuova forma, come fosse un frutto amorevolmente coltivato. Ed è questo che traspare dalla grande retrospettiva che Palazzo Reale e Triennale hanno dedicato all’autore milanese.
La città evolve e l’uomo le si adatta. A volte forse crediamo ancora che la forma della città sia opera dell’uomo, è possibile invece che la città abbia preso il sopravvento e sia lei a determinare la vita degli umani che l’hanno costruita e la popolano. Ed è partendo dall’ascolto del cuore delle città che Gabriele Basilico si relaziona ad esse. Il suo stile non cambia, nel tempo e nel luogo. Accade così che osservando una immagine di Napoli del 2004 e una di Parigi del 1995 l’atmosfera appaia la stessa, come se entrambe fossero immobili nel tempo e nello spazio e sostituissero ormai la fisicità primordiale della natura e fossero lì da sempre e per sempre. Milano 1980 – Madrid 1993, Rio de Janeiro 2011 – Istanbul 2005, città differenti colte in momenti differenti che non sembrano distanti ma, al contrario, sembrano venirci incontro pretendendo quasi di volerci sfidare, noi uomini e donne che pensiamo di avere tra le nostre mani il potere di plasmarle. Sono questo le città? Luoghi che si e ci avvicinano? Gabriele Basilico le attraversa camminando con in spalla la sua macchina di grande formato e il suo camminare si compie come un’erranza che interroga l’animo umano, piuttosto che documentare i luoghi. La visione tutta intera del suo lavoro ci permette di avvicinarci concretamente alla comprensione di ciò che lo ha guidato sin dall’inizio: uno sguardo che da sempre abbraccia il luogo. Lo possiamo vedere in tutti i suoi lavori di una vita intera. Non è una raffigurazione del particolare la sua, un insistere su qualcosa di preciso che caratterizza, ma lo stesso il “particolare” lo si potrebbe individuare osservando con attenzione l’insieme. È l’insieme infatti, così armonioso, che mette in luce il dettaglio, l’osservatore è attratto a tal punto da volerlo cercare e per ognuno è un dettaglio diverso.
L’insieme rivela anche qualcosa che sta forse nella nostra immaginazione e che altro non è se non la nuova forma di ciò che si vede all’interno del rettangolo della fotografia. Lo mostrò già Pier Paolo Pasolini con la raffigurazione di Orte dimostrando come la forma della città cambia a seconda degli elementi che entrano a far parte dell’inquadratura. Mosca, Istanbul, Gerusalemme, San Francisco, Roma, Rio, Shanghai, Palermo, Valencia, Buenos Aires, Tel Aviv tutte le città, visibili o invisibili, accostate tra loro fanno emergere un’anima comune, verrebbe da dire “unica”.
Le opere vanno viste dal vero, non esiste altra possibilità di comprenderle se non attraverso l’esperienza della relazione che possiamo avere con esse: le inquadrature di Basilico sono talmente piene della città che a volte essa diventa quasi una trama.

Gabriele Basilico, Istanbul, 2005 Foto di Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico

La mostra in corso a Palazzo Reale e quella appena terminata in Triennale, a Milano, in occasione del decennale della scomparsa di uno dei più grandi fotografi italiani contemporanei, presenta una selezione di oltre 500 scatti. Un po’ troppi, forse, ma pure questa bulimia del visivo mostrata dai curatori è, alla fine, funzionale se si vuole vedere l’esposizione dal punto di vista della trama, appunto, delle città, del loro ingurgitarci nonostante noi. Un guardare molto distante dal rigore e dalla pulizia che ritorna dalle fotografie della Milano di Ritratti di fabbriche (1978-1980), dove lo sguardo di Basilico si posa sul corpo di Milano – la sua città, quella in cui si è formato professionalmente laureandosi in architettura al Politecnico – con una osservazione quasi accademica. Ritratti di Fabbriche è in effetti un lavoro di documentazione su alcune fabbriche della città iniziato come servizio affidatogli dalla rivista “Urbanistica Milano” e successivamente proseguito in autonomia. Considerato ancora oggi una pietra miliare della fotografia italiana del dopoguerra, questo progetto assieme al lavoro immediatamente precedente – Milano. Ambiente urbano – rappresenta il punto di partenza del rapporto di Basilico con qualsivoglia città. E nella luce rarefatta di queste immagini, nella perfezione delle inquadrature, molto semplici e prospettiche, con le strade deserte e gli edifici che ci guardano sembra quasi di ravvisare una copia dei luoghi del cinema di Antonioni, penso a L’Eclisse, 1962:

Piero (Alain Delon) Mi sembra di essere all’estero.
Vittoria (Monica Vitti) Pensa che strano: a me questa sensazione me la dai tu

Tuttavia anche queste immagini non sembrano poi così distanti da tutte le altre proprio perché non è il particolare a catturarci bensì la nuova forma che si crea osservando l’insieme.

Gabriele Basilico, Milano, 1978-80, Foto di Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico
Gabriele Basilico, Milano, 1966, Foto di Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico

Ma c’è un altro aspetto che l’autore ha spesso osservato nella sua erranza fotografica ed è la “ri-costruzione” che evidenzia un altro modo del guardare, quello che afferisce al progetto, del resto, lo abbiamo ricordato, egli era architetto. Lo si vede bene nelle immagini che documentano la nascita di Milano Porta Nuova al quartiere Isola dove in tempi più recenti Basilico era tornato a camminare tra le moderne rovine, con la sua macchina in spalla e l’intento di produrre un lavoro dedicato proprio alla sua riqualificazione (2006 – 2012). Lo fotograferà fino alla fine della sua vita, come a fissare l’evidenza di un cerchio, in cui inizio e fine si fondono senza soluzione di continuità. I lavori di “ammodernamento”, il maquillage di Milano Isola, iniziati ormai diversi anni fa non sono ancora terminati ma è bastato molto meno tempo affinché la trasformazione venisse assimilata. Nonostante le pesanti contestazioni che hanno cercato di impedirne la costruzione, il nuovo quartiere è diventato abitudine per chi lo attraversa tutti i giorni. La città prende il sopravvento, quella in cui viviamo come quelle che visitiamo, ma non cessa di affascinarci. Ciò che l’umano diventa è il flusso delle città, il sangue che scorre nelle loro vene e ne fa battere il cuore.
Così non paiono esistere differenze tra i diversi luoghi che gli occhi di Gabriele Basilico hanno osservato con attenzione spasmodica nel tempo della sua vita. Ogni città è come un’altra e guardando le immagini ci chiediamo “che posto è questo?” Non perché esse si siano trasformate in altro o in qualche modo omologate le une alle altre ma perché l’insieme è altro e dunque non lo riconosciamo. Questo è ciò che le rende al tempo stesso rassicuranti e misteriose.

Gabriele Basilico, Autoritratto/Self portrait, 2011, foto di Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico

 

LA MOSTRA

Gabriele Basilico, Le mie città, a cura di Giovanna Calvenzi e Filippo Maggia
Fino all’11.02.2024
Palazzo Reale – Milano