Corrispondenze

© LUISA ELIA e ARIANNA SANESI, dalla mostra Corrispondenze, courtesy Red Lab Gallery

Charles Baudelaire scrive Correspondences, poesia contenuta nella raccolta Les Fleurs Du Mal, nel 1857 stabilendo una nuova era per la poesia che non si riferisce più tradizionalmente all’uomo e alle cose ma scopre che attorno e dentro l’uomo, come attorno e dentro tutte le cose, si muove impercettibilmente un mondo invisibile fatto di richiami a un mistero radicato nel profondo. Come il poeta così le autrici Arianna Sanesi e Luisa Elia scoprono questi elementi attraverso una fitta rete di corrispondenze che stabilisce legami profondi non percettibili a un primo sguardo ma che esistono pur nella diversità dei rispettivi linguaggi, corrispondenze che svelano un sentire comune nella diversità del linguaggio e dei media prescelti. Il mondo (ultra) sensibile, ambito nel quale le due artiste si muovono, si manifesta qui attraverso forme che non sono altro se non simboli di una realtà autentica, collocata in un altrove ma presente. Tali simboli sono indispensabili all’uomo per comprendere altre corrispondenze che troviamo nell’esperienza quotidiana e nella realtà propria di ognuno, qualcosa che accade e che non può essere colto altrimenti. Per decifrare questi simboli è necessario abbandonare la visione strettamente razionale, vale a dire quella che si ferma in superficie, che non contempla e include una visione altra, quella dell’immaginazione e dell’intuito, entrambe manifestazioni sensibili che modellano il pensiero. Occorre abbandonarsi a tali manifestazioni in qualche modo “magiche” poiché nella loro essenza non razionale, ci mettono in comunicazione con il profondo, con aspetti dell’Io e della realtà sovrasensibili. Arianna Sanesi e Luisa Elia, ciascuna a suo modo, in Corrispondenze creano una sorta di sinestesia visuale in cui, attraverso due differenti interpretazioni artistiche, s’incontrano fino a determinare un’osmosi, una visione unica e totalizzante, quasi cosmica.

© LUISA ELIA, In fieri, 2020 – tecnica mista con terra di campagna, 15x13x13 cm, courtesy dell’artista
LUISA ELIA: LA SCULTURA COME EVOLUZIONE LUDICA DELLO SPAZIO

“Non la modellazione ha importanza, ma la modulazione” ha detto Fausto Melotti, definendo così una scala di valori all’interno del suo modo di concepire la scultura. Modellazione e modulazione – a cui va aggiunta la moltiplicazione – sono le procedure fondamentali anche nella ricerca plastica di Luisa Elia, una in supporto all’altra e non in contrapposizione o in subordine come nel pensiero melottiano.

Dopo la personale Lupiae allestita lo scorso anno al Must, curata da Giorgio Verzotti, pensata come omaggio alla sua città, Luisa Elia, da anni residente a Milano, torna a Lecce con questa nuova mostra presso Red Lab Gallery, in coppia con Arianna Sanesi. Le due artiste si confrontano sul campo comune della ricerca postmoderna, proponendo due diverse riflessioni sulla non figurazione e sul valore espressivo della forma e del segno. Una bipersonale, o per meglio dire, due personali integrate, in cui le opere dell’una sono poste a confronto con quelle dell’altra alla ricerca di assonanze e divergenze, anzi di “corrispondenze”. Da qui il titolo della mostra, preso in prestito dall’omonimo sonetto di Baudelaire, da cui Elia trae anche le parole clarté e nuit, luce e notte, una affianco all’altra in una poetica allusione alla vastità dell’universo, ma anche contrapposte, con riferimento ai molteplici opposti che s’incontrano nella sua scultura: pieno e vuoto, superficie e volume, forma e significato, segno e colore, astrazione e parola. Un rimando poetico non raro nella ricerca di Elia, che di frequente attinge al mondo verbale per sostenere le forme e centrare i contenuti.

© LUISA ELIA, Puncta 2018-2022, fusioni in gomma e inchiostri, dimensioni variabili – foto © Carlo Bevilacqua, courtesy dell’artista

Componendo congiuntamente opere e versi, Luisa Elia intreccia un dialogo dai confini sfilacciati tra scultura e poesia, dai tratti introspettivi e, non di rado, liricamente autobiografici. L’artista, infatti, utilizza il linguaggio della scultura per approfondire aspetti legati alla memoria, alla percezione, alle analogie, in un’analisi che diventa un invito a confrontarsi in modo inedito con la realtà. I Puncta (2018-2022) ad esempio puntellano lo spazio, si sovrappongono ad esso, metaforizzando le esperienze umane che ad una ad una in esso si consumano, vicine ma diverse. Essi occupano lo spazio con libertà, coprendo ampie porzioni di parete, ampliabili a piacimento, aggiungendo il valore del colore a quello del volume. «La relazione ludica con lo spazio – precisa l’artista – è il mio pensiero dominante in tutte le fasi del lavoro». Fusioni in gomma, materiale che porta con sé l’idea di una durezza reversibile, scelto per la sua duttilità e la sua contraddittoria resistenza.

A un’idea di solidità e territorialità invece rimandano il sale e la terra, materie organiche offerte dalla natura, dotate di una granulometria e di un colore propri, testimoni per l’artista «di un ciclo vivo e in perenne trasmutazione». Le ritroviamo rispettivamente in Cum grano salis (2020) e In fieri (2020), opere che s’insinuano nello spazio, lo compenetrano lasciando che questo le attraversi e interagisca con esse, in un dialogo che rinvia alle origini. Non a caso, in sede critica, queste sono state paragonate a reperti archeologici che per la loro forma sembrano provenire da un luogo lontano ma non inconciliabile con il nostro, a cui rimandano le materie utilizzate, così intrinsecamente legate al vivere comune e all’umana vicenda.

© LUISA ELIA, Discus, 2012, tecnica mista, Ø 80 cm
foto Giovanni Ricci © archivio fotografico Guidetti, Ricci Milano, courtesy dell’artista

Alla stessa condizione di ancestralità rinviano anche Mater Souvenir (2013) e Discus (2012), accomunati dal dominio del bianco ma foggiate da materiali differenti, l’argilla bianca refrattaria per la prima, la polvere di marmo per la seconda. Mater Souvenir, al pari delle opere già analizzate, si presenta come scultura plurima, composta da più elementi, confermando nell’artista la pratica aggregativa. Sfere di piccolo formato accostate l’una all’altra sul pavimento in un tracciato plastico definito dalla luce oltre che dalla forma. Il riferimento alla madre è qui da intendersi in senso assoluto e metaforico, come forza originaria e generatrice. Sospeso al soffitto come un idolo pagano, Discus si anima con il soffio negando la sua stessa essenza scultorea. Un disco traforato ottenuto aggregando forme circolari, simile a un grande merletto irrigidito che si muove nello spazio e che si lascia attraversare da esso. L’ombra che proietta è parte integrante della sua costruzione, in un dialogo tra stasi e movimento, essenza e apparenza.

Nel suo modus cogitandi l’artista si avvale di diversi materiali e tecniche per ricercare forme nuove, visioni oltre una prima esperienza sensoriale. La gomma, la terra, il sale, la polvere di marmo, la terracotta ma anche il bronzo, la sabbia e la tela juta, i lavori di Luisa Elia rivelano una ricerca complessa sui materiali e la padronanza degli stessi, in un’orchestrazione surreale di forme e colori. Ma attenzione, «la materia in sé – avverte l’artista – non avrebbe un’importanza rilevante senza la tecnica e il procedimento che sperimento e modifico ogni volta in base al medium utilizzato».

Disposte alle pareti come orizzonti o costellazioni, allineate in colonne della sua stessa altezza come rinnovate antropometrie, sospese al soffitto come placide lune o poste al pavimento in successione con allusione ai passi, le sue sculture abitano lo spazio come presenze lievi e dinamiche, in cui convivono superfici lisce e scabre, fenditure e aperture, chiaroscuri e sezioni di luce. Nel loro affiancarsi e susseguirsi definiscono un’idea di modularità ma con risultati differenti dai minimalisti. Mentre quest’ultimi frantumano le loro sculture ripetendo lo stesso modulo o attuando minime variazioni interne in andamenti puramente geometrici, Luisa Elia asseconda i suoi intenti poetici, variando il modulo e concependo lavori con propensioni arcaiche, afferenti a una condizione di atemporalità. Composte da più elementi le sue sono sculture antimonumentali che si frantumano o moltiplicano nello spazio.  Nate per aggregazione, esse comunicano un senso di ampiezza, di diffusione e pervasività, una volontà di concepire in volumi ampi, che s’impongono all’ambiente circostante, tanto da avere la sensazione che lo spazio sia elemento compositivo plasmato attorno all’opera che sua volta è aperta a riceverlo e definirlo.

 

© LUISA ELIA, Cum grano salis, 2020, tecnica mista con sale, 20x14x13 cm, courtesy dell’artista

Luisa Elia esprime tutto il suo pensiero in opere dense di colore e materia; vi trasferisce il suo corpo, asseconda il flusso di pensiero e blocca con la materia l’energia del gesto. Il suo lavoro è orientato in direzione di un lirismo magico, orchestrato secondo forme regolari, luoghi dell’inconscio e archetipi, in cui la geometria, punto di partenza, è contraddetta dal libero disporsi degli andamenti interni. Una scultura che evolve senza mai dimenticare lo spazio come fenomeno di energia, materia e natura, riconsegnandoci l’essenza plastica dell’ambiente circostante inteso come deposito di relazioni e tracce, luogo di sedimentazione e di esperienze.

Carmelo Cipriani

 

© ARIANNA SANESI, Ensemble, per la mostra Corrispondenze, courtesy Red Lab Gallery
ARIANNA SANESI: CAMMINANDO INCONTRO AL DESTINO

Charles Baudelaire, nel suo testo poetico Corrispondenze, manifesta quella che potremmo definire la realtà profonda dell’animo umano. Facendolo il poeta si relaziona con un’architettura simbolica che intende guardare al profondo attraverso ciò che si presenta alla vista e che tramite il simbolo “corrisponde” a qualcosa che invece non è visibile retinicamente. Ciò, a mio avviso, ha più a che fare con la relazione che il mondo naturale a noi circostante cerca di stabilire con gli umani che non viceversa. Si parla spesso, infatti, della “relazione uomo-natura”, sarebbe invece interessante scoprire come il rapporto può rovesciarsi e chiedersi se non sia il mondo naturale a volerci parlare, a voler stabilire un contatto (contactus, derivato di contingĕre toccare) con la nostra specie e l’umano a ritrarsi, a essere sordo e insensibile, tanto da avere la pretesa di sentirsi protagonista nel cercare di ristabilire “una (presunta) relazione”.

Il poeta invece viene attratto da suoni, colori, profumi, tutto ciò lo proietta in un mondo posto al di là del vivere quotidiano, così tanto legato alle proprie esigenze di proficua convivenza sociale, tanto da aver perso completamente il dialogo con la sua parte interiore (naturale) e istintiva, condizione divenuta inappropriata per l’esistenza contemporanea.

© ARIANNA SANESI, Ensemble, per la mostra Corrispondenze, courtesy Red Lab Gallery

In questo solco si colloca il lavoro di Arianna Sanesi che è frutto di una costante attività che la pone a contatto con elementi naturali primordiali e la relazione che essi stabiliscono con l’elemento umano. La sua ricerca si sviluppa spesso camminando in luoghi differenti ma nei quali l’autrice compie sempre un “attraversamento” in forma di erranza durante il quale coglie momenti di fusione tra l’uomo e il naturale, siano essi riti praticati dalle popolazioni o passaggi in piena solitudine, in una sorta di esplorazione del territorio che diviene inevitabilmente esplorazione di se stessi. Tutti i luoghi dell’attraversamento di Sanesi sottolineano la “voce” di questa autrice, profonda conoscitrice della natura boschiva e non solo del suo paese d’origine (la Toscana), voce che non si è mai persa nemmeno quando si è trasferita oltre Alpe, nella città in cui attualmente vive, Parigi.

© ARIANNA SANESI, Entre Deux Eaux, per la mostra Corrispondenze, courtesy Red Lab Gallery

Nel suo peregrinare Arianna Sanesi si è spesso identificata con quell’individuo munito di una pazienza che non ha esitato a definire selvaggia, una facoltà interiore che non ammette compromessi con se stessi e che tende a inselvatichirsi poiché, a lungo andare, si trasforma in condizione precipua per sopravvivere. La testardaggine, la tenacia e le scelte “fuori dagli schemi” sono aspetti fondanti di tale facoltà che rendono chi le possiede in grado di entrare in vera sintonia con quegli elementi primordiali che invisibilmente si affacciano nella vita di ognuno per rivelarsi soltanto a chi “crede”, ancora, nel magico e nell’invisibile, in ciò che è nascosto e che si può rivelare solo mediante una osservazione attenta del “naturale” che ci circonda. Tali aspetti, tutti, sottolineano il modus operandi di Arianna Sanesi. Tuttavia non si tratta di un naturale che per essere colto legittima il solo senso della vista, ma di un naturale che avviluppa corpo / mente / anima contemporaneamente e, a volte, può portare allo smarrimento di quel sé ossessivamente ricercato, gettando l’individuo stesso in una sorta di febbre del vivere che modifica radicalmente l’approccio con il fuori da sé.

Tale stato d’animo si relaziona con la coscienza. E l’imprevisto, come spesso avviene nel gioco dell’infanzia, diventa aspetto “complice” dell’artista, sposandosi perfettamente con la magia nascosta nell’ambiente naturale che la cultura “occidentale” ha ormai completamente sommerso con i propri balbettii.

© ARIANNA SANESI, Abracadabra, per la mostra Corrispondenze, courtesy Red Lab Gallery

Camminare, (r)accogliere reperti, assemblare, costruire capanni, cercare tesori, esplorare il bosco da soli nel silenzio o accompagnati – l’importante è l’esperienza – costituisce la traccia sulla quale basare l’acutizzarsi del sentire, il suo svelamento. Attendere, gli incontri emozionanti: «un grosso serpente uscito al sole dopo l’inverno; un piccolo di civetta con cui ci siamo guardati per un’ora buona», racconta l’Artista.

La pratica della fotografia diventa così, per Arianna Sanesi, l’atto mediante il quale si ritrova a esplorare il bosco dell’infanzia – luogo puro per eccellenza, carico di simboli e miti ancora inesplicabili e per questo tesoro dell’immaginazione incontaminata – atto che le permette di continuare a “giocare” con la medesima serietà e consapevolezza del valore del gioco di quando si è piccoli. E, come avviene per la storia mitologica del ritorno a casa di Ulisse, il gioco è condotto con tenacia e “pazienza” poiché riconduce alla propria casa (il Sé).

© ARIANNA SANESI, per la mostra Corrispondenze, courtesy Red Lab Gallery

Ma dove volge tale cammino? La domanda è d’obbligo poiché l’essere umano non riesce a fare a meno di chiedersi qual è il suo destino su questa Terra, luogo che ci è toccato per una qualche volontà superiore (o dovremmo dire naturale? il naturale e il divino si equivalgono?) e che costantemente trasformiamo, sempre protesi verso una condizione “diversa” e “migliore” (o migliorativa) della nostra esistenza. Tuttavia la risposta non arriva. O se arriva ci pare sempre incompleta, inadeguata alla sofferenza del nostro peregrinare, non risolutiva di quello stato di apprensione verso il futuro o verso il destino che, pare, è nostro tanto quanto il soffio vitale che ci conduce lungo il percorso. A ben guardare tutto è già stabilito, mentre siamo noi che ci ostiniamo, invece, a voler modellare l’esistenza. All’infinito.

 

Giovanna Gammarota

 

LA MOSTRA

CORRISPONDENZE di Luisa Elia e Arianna Sanesi
A cura di Carmelo Cipriani e Giovanna Gammarota
Dal 18 novembre 2022 al 31 gennaio 2023
Red Lab Gallery Lecce
info@redlabgallery.com