Rinko Kawauchi
As it is

© Rinko Kawauchi, As it is, courtesy Chose Commune, 2020

Il cielo di un azzurro intenso, le nuvole, l’acqua su cui splendono i riflessi scintillanti del sole, sono alcuni degli elementi naturali che compaiono nelle prime pagine di As it is (Chose Commune, 2020), libro fotografico di Rinko Kawauchi. Lo sguardo dapprima si rivolge verso l’alto, come attendesse un evento, qualcosa che all’improvviso possa comparire in cielo; poi gli occhi si rivolgono verso il basso, dove la superficie dell’acqua evoca un’immagine di sorgente, di vitalità profonda. L’immagine alla terza pagina, in modo del tutto inaspettato, segna l’inizio del libro. Si vede una bimba appena nata appoggiata su una bilancia, la sua bocca è spalancata, sta piangendo. È il racconto della nascita e della crescita di sua figlia, a cominciare dai primi segni, che “si sono manifestati quattro giorni prima della data prevista, […] ho sentito uno choc, ha risuonato in tutto il mio corpo come nell’interno di una campana”.

Questo tocco sonoro dà il tono a tutto il libro. Le immagini vengono percepite come piccoli rintocchi, come tintinnii. Il suono, però, non è un’epifania, una manifestazione finalmente percepibile di ciò che è altrimenti nascosto, è piuttosto una mutevole persistenza, una costante che ubbidisce alla legge di un continuo cambiamento. Il tratto saliente nelle immagini della Kawauchi è la luminosità: i colori sembrano provenire da un’altra dimensione, le sfumature delle superfici sono intense e sontuose. L’occhio occidentale, abituato da secoli ad una dicotomia che fa scaturire la luce dal buio e il pieno dal vuoto, è restio ad afferrare immagini che sembrano prescindere dalla dialettica costruita sull’uso del contrasto, del chiaroscuro, della sezione aurea, di un bilanciamento tra soggetto e sfondo, pieno e vuoto.

Qui la natura appare in tutto il suo splendore, anche se la fotografa non fa che ritrarre ciò che la circonda. Si limita a guardare intorno a sé, si stupisce dei movimenti impercettibili degli insetti, delle gocce di pioggia sul vetro, delle foglie cadute per strada. Sembra annullarsi totalmente per lasciare spazio solo alla presenza delle cose. “Per me è importante non pensare a nulla quando scatto una foto”, afferma in un’intervista al San Francisco Museum of Modern Art.
Si percepisce nelle fotografie della Kawauchi una sorta di “nudità estetica”, di innocenza infantile, di leggerezza. Ci si sente sospesi come sono i suoi soggetti: un minuscolo bruco verde, una piccolissima rana, una goccia d’acqua, l’arcobaleno, la pioggia, le foglie. È come perdere la propria corporeità, la pesantezza, il contatto dei   piedi con la terra, poiché tutto è destinato a trasmutare, a passare da uno stato all’altro come nell’attimo che dal sogno porta al risveglio o dalla veglia conduce al sonno.  Ogni cosa è transitoria, come i passi di sua figlia, il suo crescere in modo lento, i cambiamenti nel suo corpo e sul suo volto. Nel mondo della Kawauchi sembra vacillare il principio stesso dello scatto meccanico, l’atto fondante della fotografia secondo cui l’istante va colto una volta per tutte, ed è immutabile e irreversibile.

© Rinko Kawauchi, As it is, courtesy Chose Commune, 2020

 

La luce nelle sue immagini rende tutto evanescente, eppure è proprio quella a fissare l’unica certezza:con la luce si nasce. Una luce che si propaga senza resistenza e senza dispersione, la cui presenza suggerisce che tutto è visibile, e che proprio in questa visibilità calda e luminosa, risiede il mistero dell’origine di ogni cosa. Lo sguardo può solo sfiorare questo mistero ma non può possederlo. La pulsione voyeuristica si smaterializza come la luce che avvolge i soggetti. Ogni istante nasce e si dissolve nella luce. La fotografa sembra suggerire che non ci sono istanti decisivi, che i momenti significativi esistono se i significati li mettiamo noi, e che fotografare non coincide solo con il saper cogliere un evento che accade, ma nel vederlo com’è in sé, come se preesistesse al pensiero e al significato. Una sorta di visione originaria: le immagini prendono luce e appaiono nella loro essenza.

© Rinko Kawauchi, As it is, courtesy Chose Commune, 2020

Così accade nella sua serie Illuminance (2011).  La prima immagine del libro è quella di un’eclisse: la Luna copre interamente il Sole, mentre nell’ultima pagina, la foto scattata dopo pochi istanti, mostra che il corpo celeste si sposta e lascia spazio alla luce solare, che lentamente tornerà a splendere. Nella serie Halo la luce non proviene dal cielo ma è generata dall’uomo sulla Terra.  Le immagini, si legge nella presentazione della mostra tenutasi alla galleria Foto Forum di Bolzano nel 2018, raffigurano il festival “DaShuhua” della provincia di Hebei in Cina, che è esistito per molti secoli e si è formato quando le persone hanno cominciato a gettare ferro fuso sulle mura della città. Le scintille che vengono via formano una pioggia di luce, che per i poveri sostituisce i bellissimi ma costosi fuochi d’artificio”.

Cielo, terra e luce si fondono anche in un’immagine di As it is.  È buio, e la figlia della fotografa tiene in mano un bastoncino luminoso da cui si sprigionano delle scintille che risplendono nella notte. Quello stesso bagliore attira ognuno di noi verso la sua luce. Come in un’altra serie di fotografie che si intitola Echo, scattate nei Musei Vaticani ed esposte in una mostra collettiva a Palazzo Reale di Milano nel 2018, dove la luce continua ad essere il filo conduttore. Non è forse ogni fotografia il calco di una presenza che si rivela mediante la luce, quasi un contatto fisico, una “pelle” che avvolge la fotografa, i soggetti raffigurati e lo spettatore, “un cordone ombelicale” in grado di collegare il corpo della cosa fotografata allo sguardo di chi la osserva? La luce rende la materia evanescente, le toglie peso, rende ogni cosa inafferrabile.

© Rinko Kawauchi, As it is, courtesy Chose Commune, 2020
© Rinko Kawauchi, As it is, courtesy Chose Commune, 2020

Per questo guardare non è più limitarsi a osservare, documentare, testimoniare l’esistenza di un luogo o l’accadere di un evento, ma è constatarne la transitorietà. Verso la metà del libro si vedono due immagini di un ciliegio. Nella prima i rami sono rigogliosi e carichi di fiori, in quella successiva un velo di petali rosa giace a terra. Il momento in cui i petali sono ormai caduti per terra segue immediatamente quello del massimo splendore della fioritura. Eppure la bellezza, come la caducità di entrambi i momenti, resta invariata. Non c’è opposizione tra essere e nulla, solo un semplice passaggio che le immagini rendono visibile. Per questo fare una foto significa prima di tutto fare il vuoto in sé, mettersi in uno stato supremo di ricettività.

Il rapporto che unisce lo spettatore alle fotografie non deriva dall’idea di chiusura e seppellimento, come nel caso dei monumenti classici il cui archetipo è la caverna, ma dallo sfioramento aereo, dalla leggerezza, dall’apertura. Ogni elemento si volge a un’idea di rarefazione, il senso non va verso il “pieno” di una qualche verità rivelata, ma verso l’effimero conseguente alla perdita di una qualunque volumetria. Nelle sue immagini c’è sempre un punto in cui la materia perde la sua consistenza.
Questa percezione fa vacillare la nostra conoscenza, lascia spazio a una leggera vertigine, provoca un satori, un’illuminazione.

Si comprende così che fotografare, come partorire, è lasciar passare. La fotografia della Kawauchi non fissa l’istante, ne mostra il passaggio. Lo stelo di erba verde sospeso nel mezzo di una delle immagini del libro non è che la visualizzazione di questo pensiero e le gocce d’acqua che scivolano sulla sua superficie sono ancora segni dello sguardo. Seguire quel filo verde che attraversa l’immagine induce ciascuno di noi a muoversi, transitare, uscire da un istante per passare ad un altro.

La disposizione delle immagini dà l’impressione di essere un insieme di frammenti, come una raccolta di haiku. E come per gli haiku, ogni singola foto è una suggestione visiva fatta di luce, che non intende enunciare alcun senso, se non la propria stessa esistenza. As it is, dice il titolo del libro. Ma potrebbe anche dirlo la bimba, o semplicemente indicare con il ditino quello che sta guardando: un fiore, un insetto, un arcobaleno, un piccolo fuoco d’artificio. La fotocamera si sostituisce a quel dito. As it is, sembra voler dire.

Eppure, questa semplice enunciazione, racchiude un mistero. La bellezza dei colori e delle forme, come la semplicità di ciò che la Kawauchi di volta in volta fotografa, ci rende disarmati, sospende il nostro giudizio, ci induce a fare i conti con l’ostinazione di voler spiegare sempre tutto ciò che vediamo. I bagliori che si scorgono nelle sue foto fanno pensare a dei varchi che conducono in altre dimensioni. Anch’essi sono dei passaggi, proprio come il corpo della fotografa che ha fatto da tramite al passaggio della figlia, e come quello della figlia che ha generato nuovamente la madre attraverso il suo sguardo colmo di stupore.

Mentre si osserva il mondo della Kawauchi si prova un desiderio così poco realizzabile da risultare infantile: quello di eliminare la dualità tra sé e l’altro da sé. Come succede in amore. E come succede guardando un’opera d’arte che meraviglia e affascina. Scrutando il suo mondo, ci si avvicina a questa illusione, a sfiorare la possibilità di trascendere la dualità, provando per un istante, un senso di completezza e di gioia. Forse, l’essenza di As it is è tutta qui.

As it is, courtesy Chose Commune, 2020

 

Rinko Kawauchi (Shiga, Giappone, 1972) vive e lavora a Tokyo. Nel 2001 pubblica simultaneamente tre libri fotografici: Utatane, Hanabi e Hanako. Nel 2002 vince il premio annuale Kimura Ihei, per due dei suoi libri: Utatane e Hanabi. Altre opere importanti sono Aila (2004), Cui Cui (2005) e Illuminance(2011).
Ha esposto in numerose mostre, sia collettive che personali, in patria e all’estero.